Città della Pieve è il punto di partenza del nostro itinerario che segue le dolci colline umbre. Dalla chiesetta degli Angeli (XIII secolo), un trekking su una strada bianca panoramica di due chilometri raggiunge il centro storico medievale della bella città del Perugino (1446-1523). Da qui puntiamo poi verso sud, alla scoperta di borghi e campagne dell’Orvietano.

A pochi chilometri si raggiunge Monteleone d’Orvieto, disteso intorno a una via centrale che termina con una terrazza panoramica affacciata su uliveti, vigneti e boschi, noti ai gourmand per gli ottimi tartufi. Di sera, a cena, le lamelle dei preziosi funghi piovono abbondanti su piatti a base di uova e di pasta locale, come gli umbrichelli.

Tocchiamo poi Montegabbione e Ficulle, località con un’antichissima tradizione di ceramisti, chiamati “cocciari”. Il borgo, il cui nome dovrebbe derivare proprio da figulus (“vasaio”), contava una decina di fornaci fino a non molto tempo fa. Lo si lascia alle spalle per andare verso Orvieto, con almeno una sosta d’obbligo davanti alla maestosa facciata del duomo. Nella campagna dei dintorni ci attende

Montecchio, soprattutto per assistere alla raccolta e alla frangitura delle olive. Di qui passano gli escursionisti che percorrono i 90 chilometri del Cammino dei Borghi Silenti, anche per gustare il tradizionale panino con la porchetta.

CITTÀ DELLA PIEVE

Carni pregiate per grigliate in famiglia Giulia Rossi, solo ventunenne, è la giovanissima anima della neonata Società Agricola degli Angeli, un’azienda familiare (la aiutano mamma, papà e il fratellino) ai piedi di Città della Pieve. A indicare l’arrivo è la piccola chiesa degli Angeli (XIII secolo) e, a poche decine di metri, l’edificio che è dedicato alla trasformazione e alla vendita delle carni, in particolare dei bovini di razza Limousine e dei maiali Grigi, che pascolano allo stato semibrado. È possibile comprare salumi e differenti tagli di carne o, nelle belle giornate di sole, mangiare direttamente sul posto, grazie alle griglie sistemate ad hoc (su prenotazione); prosciutto a 35 € al kg.

MONTELEONE D’ORVIETO

Panettieri per caso e per vocazione. È stato il “ciuco”, chiamato così perché si trasportava nelle case a dorso d’asino, che ha dato il via all’avventura da panificatori della famiglia di Roberto Miluzzi: «Mia moglie e io facevamo tutt’altro, ma mia suocera preparava un pane

in casa particolarmente buono: ce lo chiedevano tutti. Aveva un forno tradizionale e mi coinvolgeva sia nella preparazione che nelle consegne. Quando mia moglie aspettava la nostra terza figlia – da qui viene il nome del forno – ci siamo lanciati in questa “impresa”». Da allora la Panetteria Le Tre Sorelle ha conosciuto, in una ventina d’anni, un successo crescente. Preparano il cavalluccio di Monteleone, che è un biscotto con anice, zucchero, miele e cannella, tradizionalmente caramellato sulla piastra del forno, e il biscotto di magro che contiene anice, noci, olio, zucchero e vino bianco, da gustare intinto nel vino, in particolare nel periodo natalizio. Da non perdere anche i biscotti all’anice salati, prima bolliti e poi passati in forno, la torta al testo, che accompagna piatti di carne come

il pollo piccante con pomodoro, e la dolce torta Pasqualina. Dove maturano le pere Qui le chiamano pere “papere” ed erano un frutto tipico di Monteleone, da raccogliere a ottobre-novembre e poi lasciare nelle cassette ricoperte di paglia a proseguire la maturazione,

che le rendeva utilizzabili in conserve o cotte, come contorno ai piatti di carne. Dopo essere quasi scomparse, con un progetto

del Comune di Monteleone è stato ripreso il ceppo originale e innestato, così da avere nuove piante da mettere a dimora,

tutelando le pere come prodotto De.Co. (Denominazione Comunale). Si acquistano in piccole quantità quando disponibili, fornite dalle aziende aderenti al progetto, nel nuovo negozio della Pro Loco insieme ad altre specialità della zona. Due tartufai e le ricette della mamma. I due fratelli Filosi sono i titolari di Seven Restaurant Café: Michele in cucina o nei boschi con il cane da tartufo

e Andrea, ex calciatore, in sala. Ma tutto avviene sempre con la supervisione della mamma, che ogni giorno prova a rotazione

i piatti per verificare che la qualità resti sempre alta. Il ristorante prepara piatti di cucina locale rivisitata e lavora molto con

i tartufi: il nero tra maggio e agosto e il bianco da fine settembre a fine dicembre. «Le nostre ricerche di tartufi hanno fatto

il giro del mondo: sono apparse su importanti giornali stranieri e in un documentario della Bbc», spiega Andrea.

E infatti in sala si mescolano lingue diverse, impegnate a raccontare una giornata passata alla ricerca dei preziosi

funghi ipogei. Da provare le uova su pancake, la carbonara con i tartufi e i tagliolini; conto 50-60 €.



MONTEGABBIONE

Da allevatori a casari provetti

Luca Barbanera trasforma in formaggio, tutti i giorni, il latte prodotto dalle pecore del fratello. «Le allevava da 12 anni»,

spiega, «ma il latte veniva pagato sempre meno... Così mi sono deciso a realizzare il mio sogno, ho fatto alcuni corsi per diventare casaro e nel 2020 ho aperto l’Azienda Agricola Barbanera». Un vicino di casa gli ha poi presentato un collega della Normandia, suo ospite, da cui ha appreso anche le tecniche francesi per ottenere ottimi formaggi freschi. Nella piccola produzione troviamo anche semistagionati e stagionati, yogurt, stracchino e primosale. Alcune forme sono affinate nel miele e nella cera d’api, altre tra le foglie di fico e nelle vinacce.

FICULLE

Il paese dei ceramisti e dei vasai

Fabio Fattorini è l’ultimo “cocciaro” di Ficulle, paese con una tradizione antichissima nella produzione di vasi e oggetti

in ceramica per la tavola e per la cucina, che contava una decina di fornaci fino a non molto tempo fa. I contenitori per l’olio, le brocche per l’acqua e per il vino e le pignatte per cuocere le pietanze nel camino danno una precisa identità anche alla gastronomia locale. Recipienti, piatti e bicchieri sia in stile tradizionale, sia rivisitati con motivi e tinte più contemporanei, si trovano in negozio e nel ristorante sottostante, La Bettola del Cocciaro. I piatti, in quella che era un’ex cantina per il vino, sono preparati dalla moglie Pina, molti recuperati dalle ricette delle rispettive mamme, come la trippa i sughi per condire gli umbrichelli, la pasta tipica; conto 30 €.

Sangiovese e Cabernet nella terra dei vini bianchi. Seduti sotto il pergolato della Tenuta Vitalonga, che si raggiunge percorrendo una strada sterrata tra filari di viti, si domina il panorama di tre regioni: Lazio, Toscana e ovviamente Umbria. Spostandosi verso l’ampia vetrata della sala degustazioni, ecco il profilo di Orvieto. In una zona che è votata soprattutto ai vini bianchi, qui si producono

prevalentemente i rossi, a 400 metri di quota e in regime biologico. Tra questi il Phiculle, con uve Sangiovese e Cabernet

Franc, che matura 15 mesi in barrique di rovere. Il giovane titolare Pietro Maravalle lo propone insieme alle altre etichette

nelle degustazioni e in abbinamento ai piatti proposti dal piccolo ristorante, che ha posti all’interno e nelle belle giornate

si allarga sul prato circostante; degustazione di tre calici da 20 €, con quattro piatti in abbinamento 70 €.

ORVIETO

Alla tavola dei Cinti dal 1965

Tra i tanti indirizzi del centro storico di Orvieto, la Trattoria La Palomba è sicuramente uno dei più tradizionali e veraci.

In attività dal 1965 con la famiglia Cinti, propone i sapori di una volta insieme a un’accoglienza calorosa e familiare sia all’interno, in ambienti curati tipici da trattoria, sia all’esterno, con alcuni tavolini posizionati in una via molto tranquilla. Nel menu la scelta è tra pasta fatta in casa, piatti tipici come il piccione, ottima carne e, nel periodo autunnale, gli immancabili tartufi; conto sui 30 €.

L’elisir delle venticinque erbe Il titolare Lamberto Bernardini accoglie gli ospiti nel laboratorio de L’Orvietan, vicino a piazza del Duomo, tra vasi da farmacia a rocchetto e antichi documenti. Questo storico elisir oggi è un amaro erboristico ottenuto dalla macerazione di 25 erbe officinali, dall’angelica alla cannella, dal rabarbaro alla lavanda. La sua storia comincia ufficialmente all’inizio del XVII secolo, quando Girolamo Ferranti crea un antiveleno che permetteva a chi non era ricco (per loro c’era già la costosissima teriaca)

di curarsi nel caso avesse ingerito cibo malsano, un’eventualità non rara viste le modalità di conservazione a quei tempi.

Il preparato si diffuse, grazie a una specie di franchising dell’epoca, in tutta Europa, e si trova citato persino nelle opere di Molière; L’Orvietan costa 29 €, la visita guidata 15 €.

Le lumachelle per merenda

Tutti a Orvieto conoscono il Bar Montanucci: si trova sul centralissimo corso Cavour ed è un locale che può contare su oltre 100 anni di storia. Un motivo in più per visitarlo è una delle sue specialità, le “lumachelle”, un prodotto da forno salato la cui forma ricorda quella del guscio delle lumache. Un tempo erano la merenda dei contadini e già allora venivano preparate con farina, pecorino, strutto e l’aggiunta, a secondo del periodo dell’anno, di pancetta o prosciutto; lumachella 1,50 €.

MONTECCHIO

Per festeggiare l’olio nuovo

Con un patrimonio di 7 mila piante d’ulivo ai piedi di Montecchio, il Frantoio Bartolomei nasce in paese per volontà dei fratelli Luigi e Quinto Bartolomei, per poi spostarsi ai suoi piedi con Vincenzo, figlio di Luigi, che cerca uno spazio più grande per la produzione dell’olio ma anche per dar vita al progetto di un’area espositiva. Le figlie e la nipote di quest’ultimo accolgono i clienti in azienda e nel bel museo, dove si possono fare degustazioni e partecipare alle esperienze, in particolare a novembre nei giorni dedicati all’olio nuovo. Da provare i tre monocultivar oppure la selezione Pregiata, un blend di Leccino, Frantoio e Moraiolo fatto con le olive raccolte a novembre. L’azienda ha anche un’oleoteca con bistrot in centro a Orvieto (corso Cavour 49), dove assaggiare specialità locali e fare

degustazioni; degustazione “Bruschetta Forever” a 22 €.

Panino e porchetta come una volta

«L’attività è iniziata con il bisnonno Eudoro, che faceva la porchetta nel forno del paese e poi la portava nei mercati dei comuni vicini a Montecchio», racconta Marco Scianca, che con il padre continua l’attività, facendo quotidianamente il “tronchetto di porchetta” con le parti migliori (spalla e prosciutto) nel forno tradizionale. La specialità, condita con sale, pepe, aglio e finocchietto selvatico fresco, viene venduta anche nei panini. A essa si aggiunge, come prodotto tipico, il tradizionale capocollo con aglio e vino. Da tre anni c’è

anche una linea che si chiama Terra Brada e per la quale si utilizzano solo suini che vivono allo stato brado, con un sapore

più rustico e un grasso importante; porchetta 15 € al kg.

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