Orvieto, la città dei Papi e degli Etruschi, si color di nuovi suoni e di nuove atmosfere in occasione delle festività natalizie e dell’edizione invernale dell’Umbria Jazz. Un’occasione da non

perdere per visitare l’antico borgo arroccato sulla rupe di tufo, da scoprire sopra e sotto la superficie.

E se Giuda non avesse mai tradito? Se non avesse scoccato il più famoso bacio della storia? Se l’unico giudeo del gruppo, il cassiere che teneva i rapporti con il Sinedrio, non avesse preso i trenta denari? Non ci sarebbe stata Crocifissione né tanto meno Resurrezione. A pensarci bene, forse il suo gesto è stato il più duro martirio della Storia: accettare di essere ricordato come il traditore per eccellenza, per permettere a Gesù di adempiere

al suo destino. Senza di lui, non ci sarebbe stata probabilmente la grande diffusione della Cristianità, né l’enorme potere del Vaticano, comprese tutte le meraviglie architettoniche create per volere, capriccio e calcolo politico da Papi, vescovi e cardinali. Non ci sarebbe, ad esempio, l’imponente, spettacolare Duomo gotico di Orvieto, residenza prediletta delle alte cariche vaticane, voluto da Nicolo IV nel 1290, per ospitare degnamente il “corporale”,

il panno macchiato di sangue alla Messa di Bolsena, considerato la prova tangibile del Corpus Domini. 

Il Duomo rimase in costruzione per oltre tre secoli, durante la carica di oltre 40 papi, con cambi di stile, battute d’arresto, problemi tecnici e soluzioni innovative che si armonizzarono alla fine in unicum inaspettato. Restando uno

dei simboli più appariscenti del lungo e complesso “potere temporale” della Chiesa. Oggi approfittiamo delle festività natalizie per ammirarlo mentre si riflette come un caleidoscopio sul metallo lucido dei sax e delle trombe dei musicisti dell’Umbria Jazz Winter. I mosaici policromi in foglia d’oro, le mille torri, guglie ed intarsi in marmo bianco danzano al ritmo del Jazz, specchiandosi sugli ottoni del concerto di funky che suona ai suoi piedi. Uno strano

contrasto tra i musicisti in jeans strappati che suonano una versione moderna della musica nera da processione e la città millenaria, nata dalla colonia etrusca, ma resa grande ed eccezionale dal volere Vaticano.

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’Iscariota. Questa “pulce nell’orecchio” mi perseguita da quando sono uscita dalla visita al Presepe del Pozzo della Cava, allestito ogni anno nell’antica sorgente etrusca, fatta rinnnovare da Clemente VII nel 1527, dopo lo spavento del Sacco di Roma, per dotare di acqua la sua città-rifugio. Da oltre vent’anni, la grande struttura archeologica ipogea sorprende il pubblico con un tema di narrazione e

un punto di vista insolito, non ortodosso per rappresentare la Natività. Sette sale, nove grotte, un intreccio di cunicoli etruschi e una antica cava di tufo che si animano delle classiche figure del Presepe, a grandezza naturale e  con movimenti meccanici: la filatrice, il pastore, il fornaio, la levatrice, il fabbro. Compiono i gesti quotidiani dell’antica Palestina, ma raccontano versioni davvero inaspettate e solitamente inesplorate: i sogni di bambina di Maria di Nazareth, la difficile scelta di Giuseppe il falegname, l’orgoglio dell’angelo custode di Gesù, la confusione di Frate Leone e, quest’anno, la posizione di Giuda l’Iscariota.  

Uscita dal pozzo con questa nuova prospettiva in testa, ho seguito la Funk-off Street Band sino alla piazza del Duomo, cantando e ballando con il pubblico, mentre gli scatenati jazzisti improvvisavano nel dedalo dei vicoli etruschi. Ogni tanto, di fronte all’edicola votiva di una Madonna con bambino o al profilo di un campanile che si affacciava dai tetti, il dubbio sottile riaffiorava. Ho perso il filo dei pensieri quando una finestra sotto un antico arco etrusco si è aperta all’improvviso, lasciando intravvedere una tromba dorata. Tutto l’allegro corteo si è fermato per sentire il suo assolo di sfida e la risposta in musica della band.

Ancora oggi non so sé a suonare quella tromba solitaria sia stato un famoso musicista nella pausa tra le esibizioni o un coraggioso suonatore autodidatta, tanto abile da fermare la folla. Vedevo solo il bagliore dorato della tromba nella luce brillante della finestra e, dopo l’abbuffata di presepi di cui è farcita la città per le feste natalizie, mi sem brava di essere entrata nella ricostruzione vivente dei pastori che ascoltano gli angeli all’annuncio della nascita di Gesù. L’arrivo dei Funk-Off nella piazza della Basilica mi ha distratto di nuovo dai miei ragionamenti: le note si incastrano e rimbombano tra le mura istoriate del Duomo: una meraviglia merito di Giuda. Senza di lui, Gesù sarebbe solo un pazzo vagabondo, un fannullone che ha fatto abbandonare un lavoro serio ai suoi amici, per restare a farneticare, senza arte né parte, su un impossibile futuro e un Regno inesistente. Un sobillatore di folle, che vuole stravolgere l’ordine costituito. Un licenzioso che vive nella colpa, accompagnato da prostitute, indemoniati e peccatori, figlio di una gravidanza extramatrimoniale. L’Uomo dello Scandalo, insomma.

Quello che è stato il protagonista di una delle scorse edizioni del Presepe nel Pozzo, che rappresentava Gesù agli occhi dei contemporanei, prima dei Miracoli e delle conversioni. E’ ormai l’ora di pranzo e lascio perdere le riflessioni religiose per dedicarmi ad una altra delle attività preferite durante il Natale: le scorpacciate. Ma non di solo pane vive l’uomo, quindi per abbinare gastronomia e cultura, seguo il programma dell’Umbria Jazz e mi regalo la fantastica esperienza di un cooking concert: gli Spaghetti Swing, cantano il soul italiano più popolare mentre sul palco preparano tagliatelle per tutti, con salamina da sugo, enunciando pure la ricetta. Una bella 

mangiata. Per fortuna ho con me una bottiglietta di Orvietan, il famoso amaro erboristico digestivo e corroborante prodotto ad Orvieto sin dal 1603 e tanto amato dal Re Sole, che ne ordinò la vendita esclusiva a Versailles nel 1647. A stomaco pieno e “digerito”, l’anima chiede ancora un po’ di condimento, quindi mi sposto al Palazzo del Capitano del Popolo per un altro po’ di musica. E che musica! Nell’antica dimora quattrocentesca del Podestà e dei  Sette Signori, che ospitò anche una delle prime università italiane già nel 1596, suonano nomi come Barry Harris, vera leggenda del jazz, Paulo Fresu, Enrico Rava e Fabrizio Bosso, considerati i tre trombettisti italiani più famosi nel mondo. Ovviamente è difficile ritrovare in questo jazz il legame con gli antichi canti religiosi: ci sono omaggi a De Andrè, al Mediterraneo, al grande Cinema Italiano, suonano pianisti virtuosi e persino vulcanici dj. Eppure, al mattino di Capodanno siamo  di nuovo tutti nel Duomo, per la Messa della Pace: a mani alzate e braccia al cielo, ascoltiamo il concerto Gospel. “Siamo tutti peccatori - cantano le potenti voci nere di New Orleans di fronte alla cappella di San Brizio, affrescata da Beato Angelico e Luca Signorelli, considerato uno dei capisaldi della pittura rinascimentale italiana, sempre per volere Vaticano - ma ogni cosa fa parte del Suo disegno e saremo perdonati”. 

Ed io ripenso a Giuda l’Iscariota, ancora indecisa se considerarlo il primo traditore o un martire incompreso. 


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