Assunta, del negozio di fiori al numero 28, si spaventa quando suona il campanello. “Chi è?” accenna con la voce tremante da un angolo buio dietro al bancone. “Maria, sei te?”. “Sì”, risponde Maria, titolare del negozio di abbigliamento al numero 30. “Sono io, con due clienti”. Silenzio. “Clienti?” risponde con stupore. “Dici davvero?”. “Certo”, risponde Maria. “Non solo, sono turisti”. La proprietaria del piccolo negozio di fiori emerge dal buio, poiché vuole vederli con i suoi occhi. Assunta e Maria sono i soli abitanti rimasti a Sellano, ufficialmente inserito nella lista dei borghi più belli d’Italia. Nonostante non vi siano più clienti che entrano nei loro negozi, ogni mattina, devotamente, aprono le loro porte alle otto e trenta per richiuderle solo dodici ore più tardi.  È quello che hanno sempre fatto e che continueranno a fare. Come se in Umbria non ci fosse mai stato un terremoto. Proprio in questa parte dell’Italia, infatti, il destino si è abbattuto quasi un anno fa. Prima c’è stato il terremoto ad Amatrice e un paio di settimane più tardi è toccato alle colline dell’Umbria, unica regione dell’Italia a non avere accesso al mare e per questo anche una delle più incontaminate. Il terremoto del 30 ottobre a Norcia passerà agli annali come uno dei più violenti in Italia degli ultimi cento anni. “È stato abbastanza breve, poi il silenzio”, racconta Assunta. Indica le strade di Sellano intorno a lei. Prima del 30 ottobre vivevano circa duecento persone in questo paese, ora sono rimaste solo lei e la sua vicina Maria. È strano, perché il centro, nonostante il terremoto, è rimasto quasi del tutto intatto. Gli edifici in pietra calcarea costruiti sulla collina, le piccole stradine che si arrampicano verso l’alto, il campanile bianco, la sonnacchiosa piazza medievale del paesino, tutto sembra abbandonato senza un’apparente ragione.           

Paura delle scosse

“È proprio questo il motivo per cui vi ho portato qui”, dice Roberto Canali. “In nessun altro posto è possibile vedere le conseguenze del terremoto come in questa piazza del paese abbandonata. Potrà sembrare una follia, ma l’Umbria è più spaventata dall’idea del terremoto che dal terremoto in sé”. Canali è il presidente dell’associazione “We are Norcia”, fondata qualche giorno dopo il terremoto del 30 ottobre. È costituita da un gruppo di 86 aziende che si propongono di offrire aiuto alla regione, organizzando festival e raccogliendo denaro, ma soprattutto facendo capire che solo una piccola parte dell’Umbria è stata colpita. “Il resto della regione è sicuro”, ripete come un mantra Canali. “È un messaggio importante perché se il danno materiale rimane accettabile, quello economico è enorme. Non ci sono più turisti”. Questo problema si sta acuendo, soprattutto ora che è estate in Umbria. Dopo il terremoto il numero dei visitatori è calato terribilmente in ogni paese, in alcuni casi del 75%. Un disastro per gli innumerevoli proprietari di alberghi, ristoranti e guide che vivono di turismo. Lo stesso è successo a Canali, proprietario dell’azienda La Mulattiera. I suoi clienti, da soli o in gruppo, possono noleggiare per un paio di giorni due asini ed una cartina escursionistica con cui spostarsi da un albergo all’altro, mangiando nel frattempo della ricotta prodotta dal pastore Federico e del miele della fattoria a Castel San Felice. “Oggi percorriamo la vecchia strada delle pecore”, dice Canali mentre allaccia gli zaini sulla sella di Pinocchio e Felice. Pinocchio inizia a ragliare. “Ssssst”, sibila Canali per calmarlo, mentre lo accarezza sul collo. “Non molto tempo fa, questa strada è stata dichiarata il più bel percorso escursionistico d’Italia” aggiunge lui, quindi dà una pacca sul sedere di Pinocchio. “Andiamo, si parte”. L’Umbria viene anche definita “il cuore verde dell’Italia” e dopo un paio di curve ne capiamo immediatamente il motivo. Spostando lo sguardo a destra, a sinistra, in lontananza o in avanti è possibile ammirare le infinite tonalità di verde che colorano queste colline. Ancora più spettacolari del fiume Nera, che scorre sinuoso lungo la valle, e dei monasteri benedettini, che spuntano tra gli alberi a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, sono i luoghi dove ci conducono gli asini di Canali per passare la notte: non è solo il luogo ad essere incantevole, ma soprattutto il messaggio di speranza che rappresentano. Prendi Postignano, un piccolo castello medievale accanto a Sellano. Anche qui gli abitanti hanno abbandonato le loro case, in questo caso a seguito della minaccia di un’imminente frana nel 1963, e anche questo paese è diventato un villaggio fantasma. “Quando siamo venuti qui agli inizi degli anni Novanta, non abbiamo visto solo un villaggio fantasma”, dice l’architetto Gennaro Matacena, “ma la possibilità di recuperarlo”. Insieme al collega, Matacena ha completamente ristrutturato la piccola cittadina per farne un albergo diffuso. Cos’è un albergo diffuso? Si tratta in realtà di un grande albergo in cui le camere sono le abitazioni abbandonate all’interno del centro storico. A Postignano, ad esempio, 20 dei 59 edifici che lo compongono (abitazioni, stalle, magazzini e persino le prigioni della città) sono stati riconvertiti in lussuose camere d’albergo. Le altre case servono da ambienti espositivi, c’è una sala concerti, un ristorante o case di abitanti che sono tornati.      

Le belle addormentate

Gli alberghi diffusi rappresentano la soluzione ideale per quelle che in Italia vengono chiamate le belle addormentate, spiega Matacena. Si stima che nell’intero territorio nazionale vi siano tra i 5 e i 15 mila paesi e borghi vuoti dove non c’è più vita: villaggi fantasma. Sono vittime di terremoti, mancanza di lavoro, povertà, emigrazione, invecchiamento della popolazione e, recentemente, altri terremoti che li hanno svuotati. Gli alberghi diffusi sono un modo per cercare di invertire la tendenza. Chiaramente i terremoti dello scorso anno, ancora freschi di memoria, sono più attuali che mai. Per i turisti è l’occasione ideale per scoprire l’Italia lontano dal turismo di massa, mentre per i residenti rappresenta una fonte di reddito. È proprio con quell’idea che trent’anni fa è sorto il primo albergo diffuso. Il proprietario non voleva tanto aprire un albergo, quanto piuttosto ristrutturare il paese colpito dal terremoto. Grazie alle severe norme Unesco, cui gli alberghi diffusi devono attenersi per ricevere i sussidi, anche i centri storici sono stati completamente ristrutturati, in genere con l’aiuto di piccoli eserciti di archeologi e sempre con risultati spettacolari. Una passeggiata tra i vicoli di Postignano, venti anni fa ancora un paesino fantasma, ripropone perfettamente un’esperienza storica. L’assenza di auto e scooter nel paese, il giardino fiorito con venti tipi di rose, i vicoli, le scale e i ponti, la chiesa crepuscolare di fronte alla buganvillea viola dove gli asini possono abbeverarsi. Si ha l’impressione di essere nel Medioevo. Ad eccezione dell’invisibile internet a fibra ottica, non c’è nulla che faccia pensare di essere nel 2017: nessuna antenna, nessun cavo dell’elettricità, nulla. “Hooooooo Fantasia”, urla Canali il giorno dopo e poi ancora “Hooooooo Pinocchio”. Gli asini ragliano. È l’ora del pranzo. Guarda in alto, verso il rinato Postignano. Se da qualche parte fosse possibile un nuovo Rinascimento, sembra voler dire il paese, questo posto sarebbe certamente l’Italia. “Spero che città come Postignano possano rappresentare il futuro per il resto dell’Umbria. Un terremoto non deve necessariamente segnare la fine. Abbiamo solo bisogno di turisti e del loro contributo. È per questo che dico: venite per favore a visitarci. L’Umbria ha bisogno di voi”. Mentre il sole bacia uno dei più bei paesi collinari d’Italia e Canali estrae dagli zaini di Pinocchio, come per magia, una ciotola di ricotta, un pezzo di prosciutto e due bottiglie, una di vino bianco e una di rosso, tutto diventa improvvisamente chiaro: gli abitanti dell’Umbria hanno ragione. Non sono tanto i terremoti il pericolo per la regione. No, il problema più grande dell’Umbria è che si sta troppo bene. Stammi a sentire. Le colline sono troppo dolci e inclinate e i villaggi troppo fotogenici. Gli abitanti non ancora inaspriti dal turismo di massa sono troppo cordiali, il loro passato è troppo interessante e gli affreschi dei loro monasteri troppo mozzafiato. Per non parlare poi del loro vino Sagrantino o del ragù di cinghiale. È per questo che mi sento di dare un avvertimento a tutti i turisti che vengono in questa regione dell’Italia. Non preoccupatevi troppo per i terremoti. Il vero rischio è che la differenza tra il vivere su queste colline e la vostra vita quotidiana a Zeewolde, Zwanenburg o Schiedam è talmente grande, che per un turista è quasi impossibile essere contento di tornarsene a casa. Alla fine, chi vuole veramente ritrovarsi il lunedì mattina ogni volta ad attraversare la propria zona residenziale ricoperta di rotonde e dossi stradali, sapendo che un po’ più lontano c’è l’Umbria? O come dice Assunta, una dei due abitanti rimasti nel villaggio fantasma di Sellano, uno dei borghi più belli d’Italia: “Perché dovrei andarmene? Datti un’occhiata intorno e rispondi alla mia domanda. Pensi che in un altro posto potrei mai essere più felice di come lo sono qui?”


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