L’Umbria, definita spesso “il cuore verde d’Italia”, è una regione centrale del Bel Paese. Benché ricchissima di attrattive paesaggistiche, il suo territorio è assai meno conosciuto rispetto a quello della Toscana, circostanza che ha permesso alla regione di preservare ancora meglio la genuinità delle origini. Epoca del viaggio: marzo 2017.

Ammettiamolo: aggrapparsi alle abitudini viene spontaneo. Nel mio caso, ciò significa che, dall’anno trascorso a Siena come soggiorno all’estero, ho finito sempre per tornare in Toscana. Certo, magari ho scelto perlopiù posti nuovi, nuovi alloggi – ma, sempre e comunque, la meta obbligata è rimasta la Toscana. In effetti, ancora per un bel pezzo c’è da attendersi che cambi poco al riguardo, ma, di quando in quando, un po’ di spazio per altri angoli d’Italia non guasta. L’Umbria, per esempio: una regione che con la Toscana confina direttamente pur rompendone la continuità paesaggistica in maniera, se non assoluta, quasi completa; sia come sia, resta sempre e comunque una chicca. Soprattutto a fine marzo: quando i vicoli di Firenze o di Siena iniziano a brulicare di turisti da tutto il mondo, per i borghi umbri si riesce ancora a passare in rassegna le vetrine in relativa solitudine. All’ora di pranzo, la tavola va divisa al massimo con una manciata d’italiani. Il fatto incontrovertibile che l’Umbria non goda di accesso diretto al mare le è valso, come detto, l’appellativo di ‟cuore verde d’Italia”. Il nomignolo sembra calzarle, poiché il paesaggio è segnato dal profilo di dolci colline, da monti e vallate. D’altro canto, grazie al Lago Trasimeno – il quarto per estensione, in Italia – non si è per forza costretti a rinunciare completamente al piacere di un bel bagno.

Base di partenza della mia escursione per i paesi dell’Umbria è appunto Castiglione del Lago. Abitata da circa 15.000 persone, la località non è certo enorme – pochi bar e ristorantini ne assicurano comunque l’incanto. In posizione eminente, alcuni punti della parte antica del paese aprono la vista sul lago, lungo la riva del quale la passeggiata, qualche prato transitabile e una serie di chioschi sparsi provvedono, come si deve, allo svago. Il posto più incantevole e, insieme, il centro abitato più vivace del mio giro dell’Umbria è stata Orvieto, nel settore sud-occidentale. Come in molti altri paesi delle regione, la città vecchia si raggiunge in funicolare dalla stazione. Si tratta di un’esperienza di per sé, ma è anche possibile parcheggiare agevolmente l’auto sulla Rocca Albornoziana, da cui il cuore della città dista solo qualche minuto a piedi. Il profilo urbano di Orvieto è contraddistinto da palazzi rinascimentali e medievali, da edifici fra cui spiccano il duomo e la cattedrale di Santa Maria Assunta. Salta all’occhio la notevole somiglianza col duomo di Siena, non solo in rapporto alla facciata d’ingresso, ma anche ai fianchi laterali – un motivo che non manca di spiegare perché la sua struttura mi abbia colpito. A mio parere, merita una visita anche la Torre del Moro, al sommo di una scalinata di più o meno 240 gradini. Chi è riuscito finalmente a scoprire il passaggio semi-segreto fra gli scaffali della libreria accaparrandosi un biglietto da 2 Euro e 80, una volta giunto lassù sarà ricompensato da una vista spettacolare, che abbraccia l’intera città dintorni compresi, aprendosi su un panorama che ammalia lo sguardo. Sulla via di ritorno al parcheggio, una fila di bottegucce invita a curiosare; Orvieto vanta inoltre tutta una serie di deliziose piccole trattorie ed osterie degne di una sosta culinaria – magari dedicata alla porchetta, specialità locale.

A poco più di un’ora di macchina da Orvieto passando per le floride quinte del Parco fluviale del Tevere, la cittadina di Todi sorge arroccata in cima a un colle. Vi approdo nel bel mezzo di una festa medievale, occasione che, non c’è dubbio, porta in città molta più vita – e di gran lunga – di quanto non avvenga negli altri giorni. In quella bolgia mi concedo un caffè macchiato mentre, lasciandomi alle spalle Piazza del Popolo, contemplo la vista dei punti panoramici; inauguro così la tappa odierna del mio viaggio di ritorno. Il giorno dopo, di prima mattina, il percorso prosegue ancora a sud: direzione Spoleto – città che, sulle prime, non posso dire mi abbia entusiasmato. Dai suoi vicoli tortuosi – come morti in questa fase dell’anno e della giornata – emanava un fascino senz’altro resistibile. Ma ho avuto modo di ricredermi non appena, venendo da via Aurelio Saffi, mi sono trovata davanti Piazza del Duomo, distesa ai miei piedi. L’espressione va intesa quasi in senso proverbiale, visto che chi voglia calcare di persona la piazza deve scendere subito le scale per poi girare sul proprio asse quanto meglio riesce e abbandonarsi come si conviene alla magia del complesso architettonico. Lungo via Gattaponi si snoda anche un delizioso camminamento che gira intorno alla rocca di Spoleto, percorrendo il quale c’è da varcare, fra l’altro, il Ponte delle Torri. L’accesso a quest’ultimo è purtroppo interdetto dall’ultimo terremoto, il che rende impossibile raggiungere l’altro lato attraversandolo; il ponte resta comunque un soggetto fotografico d’interesse, e la vista sulla valle regala sempre uno spettacolo gradito. Quasi giunti al punto di partenza, il circuito conduce al bar La Portella, che offre tavoli all’aperto per una breve sosta col beneficio di una vista imponente o solo per un caffè bevi-e- fuggi. 

Il resto della giornata, lo trascorro esplorando Spello e Trevi – due paesi che vantano la certificazione di “Borghi più belli d’Italia”. Di fascino ne hanno entrambi, nessuno lo nega; è altrettanto vero, però, che ora, in bassa stagione, prima del grande afflusso, questi paesini sono un mortorio nell’accezione più letterale, al punto che, intorno all’ora di pranzo, trovare una trattoria aperta o un posto al sole dove sorseggiare un caffè diventa veramente un’impresa. In ogni caso, un giro per Spello e Trevi è un’esperienza appagante e, a modo suo, il connubio di solitudine e quiete che promana dai due borghi rasserena anche lo spirito.

Dulcis in fundo, da un tour dell’Umbria non può mancare in nessun modo la cittadina di Gubbio. Poi rivelatasi un vero coup de théâtre alla fine del mio viaggio, a dire il vero, da quella cittadina quasi attaccata alla regione Marche non mi aspettavo in effetti niente di eclatante. Come non detto: già da distanza, all’ingresso si scorgono le rovine del teatro romano, semi-abbandonato su uno spiazzo erboso a qualche metro dalla porta d’accesso al centro storico. La città vecchia sorprende lo spettatore per la sontuosità delle facciate residenziali, parzialmente in pendio. Piazza Grande sfoggia edifici fastosi come il Palazzo dei Consoli o il Palazzo Pretorio, fiancheggiati da ex dimore nobiliari sul lato a settentrione. A Gubbio il vero clou è però offerto dall’ascesa al Monte Ingino con la Funivia Colle Eletto, “una gondola che si libra nell’aria” – se volessimo chiamarla in qualche modo – ma anche  un’occasione da brivido: a prima vista, una prova di coraggio – specie per chi, come me, soffre di vertigini. Alla prova dei fatti, invece, la paura si dimezza: il tragitto verso il picco di 908 metri procede assai più liscio di quanto temessi, al punto che, oltre a godermi il panorama, comincio a scattare qualche istantanea.


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