Fuori stagione la Maggiore è abitata da sole sette persone Pesca, relax e manutenzione dopo il boom di 107 mila sbarchi del 2023

" La nostra isola deserta e silenziosa senza turisti "

Se Loredana Bertè non ci accusasse di plagio potremmo riassumere una giornata all’isola Maggiore, con annesse complicate traversate del Trasimeno, semplicemente citando frasi della sua “Il mare d’inverno”, che è, certamente “un film in bianconero visto alla tv” (il lago è il mare dell’Umbria, no?), ma anche “qualche nuvola dal cielo che si butta giù” (è un piovoso e freddo giorno di febbraio), “stanche parabole di vecchi gabbiani” (qui gozzovigliano centinaia di cormorani che pescano affondando il collo in picchiata sul lago), “e io che rimango qui sola a cercare un caffè” (neppure: sull’isola è tutto chiuso), per finire con “qui non viene mai nessuno a farci compagnia” (sette abitanti in 24 ettari, densità da circolo polare artico, che fuori stagione vivono in un silenzio riflessivo, quasi eremitico, e non solo perché proprio in cima all’isola San Francesco ha passato la sua Quaresima del 1211). Spenta la Bertè, si parte.

A BORDO DELL’AGILLA Da Passignano andata e ritorno, dall’1 gennaio si pagano 9,30 euro comprensivi di 2 euro come “contributo di sbarco” istituito dal comune di Tuoro, una specie di tassa di soggiorno che dovrebbe generare risorse per l’isola, ma giudicando dallo stato di strade (dove ovviamente non transitano auto), sentieri, terreni incolti e bagni pubblici si direbbe che qualcosa non ha funzionato. In ogni caso ecco la prima sorpresa. Non arriva un traghetto o una motonave, ma qualcosa di molto simile ad una grande chiatta, bassa e stretta. È l’Agilla, il più piccolo come stazza ed anche il più vecchio della flotta di Busitalia, anno di nascita 1962, provenienza cantieri navali Papette di Venezia. Il lago è increspato, chi soffre di mal di mare (presente) comincia a preoccuparsi. Sembra di stare sulla “barcamatta” del luna park, un ondeggiamento destra-sinistradestra che per fortuna dura solo venti minuti e che ogni tanto viene attenuato dal capiLa pesca “ tano Luigi e la carpa-re Gasperiquanti anedd ni, che manovra questi timoni dal 1986. “Trentotto anni che trasporto i turisti sul lago e non è mai successo nulla. Purtroppo oggi c’è scirocco da sud. Se fossimo partiti da Tuoro sarebbe stato tutto tranquillo. E va pure bene che il Trasimeno è un metro e mezzo sotto il suo livello sennò avremmo ballato molto di più”.

I SETTE ABITANTI In fondo al molo di attracco, ci aspetta Silvia Silvi, titolare col fratello del ristorante l’Oso, ma, soprattutto, presidente della Pro loco. È lei che fa gli onori di casa e le presentazioni con chi è in quel momento sull’isola. Tutti attorno ad un tavolo all’ingresso del Museo del merletto. Elenca: “Fuori stagione siamo 7 abitanti: io e mio fratello Edoardo, pescatore professionista, il signor Rolando, anche lui ex pescatore, con la moglie Anna, merlettaia e il figlio Fabio. Poi Maurizio che fa la spola con la sua barca verso la terra ferma e Cristiano, che si occupa per conto di una cooperativa di gestire la pulizia nelle strade e nelle aree verdi. A parte noi, il resto sono quasi tutte seconde case, che si riempiono raramente. D’estate diventiamo anche 30 abitanti, difficilmente di più”.

I RICORDI DI ROLANDO “Mi chiamo Rolando Gabbellini, ho 86 anni e ho smesso da una decina di fare il pescatore. Ma avevo iniziato da bambino, a 7 anni la prima volta in assoluto, poi dai 14 pescare è stata la mia professione. Era bello, anche se faticoso, andare in barca tutti i giorni, riportare le reti piene, friggere i latterini con le patatine. Io sono nato qui, ai miei tempi c’erano pure le elementari, eravamo una trentina di ragazzini, divisi tra mattina e pomeriggio. Ora, le dico la verità, la vita è un po’ triste, specialmente d’inverno. Passeggio qui lungo via Gugliemi ma non incontro più nessuno, parlo solo con i miei familiari. D’estate, almeno, mi fermano i turisti. Sono il più vecchio dell’isola, forse per questo vogliono sentire le mie storie. Ho ricordi sfumati di quando nel ’44 una fortezza volante alleata si liberò delle bombe sganciandole nel lago e vennero a galla tonnellate di pesce, mentre ricordo bene quando anni più tardi il lago si prosciugò e divenne ile una paluBei pecialmente de. tempi ani che quelli…”.

LA “SPESA” DI SILVIA Silvia Silvi: “Beh, al contrario di Rolando, per me questo è un periodo di riposo, di piccole manutenzioni e di cose piacevoli da fare, come andare a teatro o al cinema a Perugia, per esempio. Altra storia durante la stagione turistica, circa 7-8 mesi, da marzo fino al 31 ottobre, più qualcosa a Natale. L’anno passato solo di ingressi al Museo abbiamo toccato quota 15 mila, ma i biglietti staccati dai traghetti sono stati molti di più, quasi 107 mila. Anche io e mio fratello siamo nati qui, in casa come succedeva una volta. Papà Silvio quando mamma Ida era incinta aveva sempre pronti due motori per andare a prendere la levatrice sulla terra ferma e non farsi cogliere mai impreparato. Mamma è diventata isolana a 17 anni ed è stata la prima donna a guidare una barca, oltre ad avviare l’attività che abbiamo ancora. Il suo era un emporio che vendeva tutto: dalla carne ai fiori, ma con l’avvento della grande distribuzione e lo spopolamento dell’isola io e Edoardo ci siamo orientati verso il turismo, comperando un vecchio stabile con vista sul lago. Difficoltà? Tutto è difficile quando c’è l’acqua di mezzo, specialmente per il fresco, dal pesce al gelato, per gli alimenti deperibili in generale. Per la spesa all’ingrosso andiamo noi, prendendo l’auto o il furgone in un garage vicino al pontile di Tuoro dove noi isolani teniamo i mezzi con le ruote… il resto, per esempio il pane, arriva col traghetto tutte le mattine. Per quanto riguarda la salute, il medico viene ogni 15 giorni e in caso di urgenza il 118 arriva una imbarcazione sanitaria, una pilotina, da Castiglione. Noi abbiamo già una barella in dotazione. Solo una volta c’è stato bisogno dell’elicottero che è atterrato su un braccio della darsena per soccorrere la mamma. Una antesignana anche in questo”.


DA SAURO A MARIA PIA Qui il cognome Scarpocchi è quasi un marchio di fabbrica e non solo perché il signor Sauro, scomparso sei anni fa, era considerato il sindaco-ombra dell’Isola (il ristorante porta ancora il suo nome, ora lo gestisce la figlia Maria Pia) ma un Mariano Scarpocchi è stato nei secoli scorsi padre guardiano del monastero francescano posto in cima al paese, prima che diventasse il castello Guglielmi, per finire chiuso e malmesso come ora. È stato venduto all’asta nel 2021 ad una società siciliana, ma da allora non s’è visto nessuno. Microfono a Maria Pia Scarpocchi. “Giusto 60 anni fa, nel 1964, sfruttando l’orto dei nonni papà aprì la trattoria del molo, con pochi tavoli e una copertura fatta con le cannucce del lago. C’era persino un calciobalilla per i ragazzi. Piatto forte: latterini e anguille fritte. Qualche anno dopo, grazie ad un finanziamento a fondo perduto per il turismo papà acquistò un immobile dove c’è l’attuale albergo-ristorante. Era l’agosto 1966 e cambiò la vita di tutti noi che fino a quel momento non avevamo in casa il bagno e neppure l’acqua corrente, bisognava andare in strada ad attingere dalle fontanelle. Per chi fa ristorazione i problemi sono quelli elencati da Silvia, perché quando finisce una cosa, anche una patata o il pane, durante il lavoro non è che possiamo prendere la barca e andare a Tuoro. Per fortuna c’è collaborazione e quando serve ci facciamo dei favori. Quanto al medico, posso parlarne con ragion veduta, perché è mio marito Massimo Buratta. Tanti anni fa, quando la popolazione era più numerosa, gli dicevo che qui faceva il ‘deambulatorio’ perché passava pazientemente da una casa all’altra e specialmente ai più anziani sistemava le medicine negli armadietti, segnava quando prenderle, portare via quelle scadute. Oppure uno di noi passava in farmacia, sulla terra ferma, a prendere il bustone con le medicine di tutti. Poi ci trovavamo al bar, attorno ad un tavolo, per la distribuzione. La privacy non era stata ancora inventata”. LA PESCA-RECORD DI EDOARDO Nel cellulare di Edoardo Silvi c’è una foto-simbolo. Lui, pescatore professionista, riparatore di reti e persino collezionista di ami (“ne ho uno di ottone malleabile che si estrae senza danneggiare il pesce e si riutilizza, una tecnica tutta isolana”), ritratto con una carpa di 29 chili, un record. Ma Edoardo pesca anche per il ristorante che gestisce con la sorella e la sciugò prima riflessione, a to precisa domanda è la seguente: “Con quella carpa ci sono uscite più di cento porzioni, considerando due etti a testa. Ultimamente ho preso 16 regine (sempre carpe; ndr), circa 133 chilogrammi totali, che ho pulito e lavato, poi ‘abbattuto’ e congelato per mangiarle nei mesi in cui non si pescano. Oltre che in porchetta noi le facciamo anche cotte sulla griglia. Sono molto più buone. Il tegamaccio? Per me si fa solo con l’anguilla. Ora il lago è abbastanza pescoso, ma negli anni dal 1953 al 1956 si era volta prosciugato, divenergenze tando qua8” si una palude con tante alghe e senza pesci. Diventò una meta per moltissimi cacciatori che avevano anche costruito degli appostamenti per sparare agli uccelli di passaggio. I pescatori dell’isola, tra i quali mio padre Silvio, non si scoraggiarono e si riciclarono alla svelta. Le loro barche diventarono dei taxi che accompagnavano i cacciatori, sia per indirizzare i branchi verso di loro sia per andare a ripescare le prede in mezzo alla palude. Papà guadagnò talmente bene che con quei soldi fece il regalo di nozze alla mamma, un orologio. L’orafo era uno dei cacciatori, fecero cambio merci… ma, in seguito, le barche furono anche usate per portare i mattoni a spina di pesce che ancora costituiscono la pavimentazione di via Gugliemi, del nostro corso. Pagavano per il trasporto 3 lire l’uno e capirà che le barche venivano riempite fino all’orlo, quasi a sfioro e ogni tanto andavano giù. È per questo che da allora sul fondo del Trasimeno ci sono ancora centinaia di mattoni”. “Il medico viene una volta ogni 15 giorni, per le emergenze arriva una pilotina del 118” .

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