Vi sveliamo il segreto del borgo in provincia di Perugia in cui vivono e lavorano 1.500 stranieri provenienti da 80 Paesi diversi che hanno contribuito al patrimonio artistico della comunità senza stravolgerne l’identità

A Todi lo sanno tutti: il 14 ottobre di ogni anno le campane suonano per celebrare il patrono San Fortunato, che nella chiesa gotica a lui dedicata dorme accanto al religioso e poeta Jacopone, un altro grande del territorio.

Quel che forse non si sa è chi suona la campana: un ragazzo tuderte di 22 anni, Giorgio Tenneroni, che insieme ad alcuni amici, una volta all’anno, per due volte nella stessa giornata, sale le ripide scale sul campanile del 1460 alto 47 metri fino alle cinque antiche campane. Lui in realtà ne suona solo tre perché le altre due sono troppo delicate (la più antica è del 1286 ed è chiamata Campana di Jacopone). Succede a Todi dove arte e bellezza intrecciano invisibili percorsi facendo incontrare Medioevo, Rinascimento e Contemporaneo. Ne sono perdutamente innamorati gli stranieri che in 1.500 hanno deciso di viverci stabilmente.

Un terzo sono europei, oltre il 10% sono statunitensi, molti anche gli australiani. In totale sono 80 i Paesi che fanno di Todi un melting pot culturale e linguistico unico nel panorama umbro.

Una folta pattuglia che non sta con le mani in mano a ripetere «Molto pittoresco!», come la romantica donna inglese di Enrico Montesano: anzi. Gli australiani hanno istituito nel 2020 nell’ex Monastero delle Lucrezie l’associazione ArtEX, che tutto l’anno progetta, cura e sostiene iniziative, mostre, workshop e programmi di residenza di artisti per promuovere pittori e scultori, emergenti e affermati. C’è poi la cantante lirica Breana Sillman che l’anno scorso ha creato, con la sua onlus OperAffinity, il Todi Opera Festival, una settimana di corsi di canto per giovani da tutto il mondo. Per non parlare della Fondazione Progetti Beverly Pepper – la scultrice americana vissuta per cinquant’anni a Todi celebre per le sue opere in ferro – che oltre a occuparsi di ricerca, pubblicazione e diffusione di opere d’arte, promuove incontri, seminari ed eventi artistici in collaborazione con il Comune, come il Todi Festival, in programma quest’anno dal 24 agosto al 1° settembre.

I rintocchi delle campane di S. Fortunato, fra anguste scalette e angoli bui, raggiungono la Casa Dipinta: è il magico regno colorato degliartisti e scrittori, americani di origini irlandesi, Brian O’Doherty e della moglie Barbara Novak, che hanno vissuto a Todi fino a due anni fa, quando lui è morto e lei è tornata negli Usa, lasciando alla comunità la loro dimora ora museo, fusione sincronica di due antiche culture, quella celtica e quella romana. Vibrano anche le finestre della Torre dei Priori, a pochi metri di distanza. Alto e austero nella medievale piazza del Popolo – cuore della città sin dall’antichità romana – il monumento del XIII secolo, che fa parte del Palazzo dei Priori o del Governatore, ha da poco aperto dopo un secolo di quasi totale inaccessibilità, trasformato nel museo di arte contemporanea cittadino grazie al delicato intervento di restauro (costo circa un milione di euro), curato dallo studio dell’architetto Antonio Corradi. Così all’interno ora si possono ammirare, su oltre 400 metri quadrati di acciaio, vetro e legno, le opere degli artisti che hanno vissuto e operato a Todi nell’ultimo mezzo secolo, da Alighiero Boetti a Piero Dorazio.

Di fronte alla Torre, in piazza Garibaldi, svetta un enorme cipresso alto 40 metri piantato nel 1849, anno in cui l’eroe dei Due Mondi in fuga dalla repubblica romana sostò a Todi con l’esercito e la moglie Anita, incinta del quinto figlio. La città le donò una sella nuova per il cavallo: quella vecchia si può ancora ammirare nel Museo civico del Palazzo comunale. All’esterno, in piazza del Popolo, brilla la scultura in ferro di 8 metri realizzata dall’artista americano Mark di Suvero ed esposta fino a fine ottobre, in occasione del IV Festival delle Arti.

I rintocchi, imperterriti, si perdono oltre le due cerchie di mura, quella etrusco-romana e quella medievale, risuonando intorno al colle del borgo fin verso il Tevere, che fa da confine insieme al torrente Naia, e si spande nelle vallate sottostanti tra campi coltivati, piantagioni di ulivi e vigneti fino a raggiungere altre torri, chiese, casali. Sembra di trovarsi in un quadro del Perugino, e allora il cuore nel petto comincia a cantare: è l’effetto della città “più vivibile del mondo”, come la definì già oltre un trentennio fa l’architetto e urbanista americano Richard Levine per le dimensioni proporzionate, il clima ideale e l’armonico rapporto con l’ambiente agricolo circostante. Sorride Carlo Rossi dell’agriturismo Il Merollo, a pochi chilometri dal centro: il suo più che un locale è un tempio del gusto e lui, più che un cuoco, è un monumento della tradizione culinaria umbra che, assieme alla compagna Angela Silvestre, miscela nei piatti memoria e presente.


Intanto nella luce della vallata, sulla circonvallazione esterna, appare solitario e sereno il profilo di S. Maria della Consolazione, un edificio cinquecentesco che sorprende per l’eleganza e non ci si aspetta di trovarlo lì, bianco e monumentale, così vicino all’arte del Bramante. Dalla sua cupola terminata nel 1607, come racconta Francesca Tenti, guida responsabile del circuito culturale della città, un religioso tuderte si lanciò per testare un velivolo da lui realizzato. Si chiamava Abdon Menicali, era uno studioso e un appassionato di volo. Poi spretato, poiché alla fede preferì seguire Garibaldi: non andò bene, ma ebbe almeno il piacere postumo di essere definito un “pioniere del volo”, di avere una strada a lui intitolata e un ricordo nell’Empireo dei tuderti vip.

Attraversata la strada con le spalle a un comodo parcheggio e dove ogni 10 minuti una navetta elettrica gratuita porta in centro (che si può raggiungere anche con due ascensori) si apre il Parco Beverly Pepper, già della Rocca, circa 2 km di sentieri in cui sono distribuite nel verde 19 installazioni firmate dalla scultrice e pittrice statunitense: un tragitto che attraversa idealmente quasi mille anni. Bellezza da stordimento che richiama nel periodo estivo oltre 100mila visitatori stranieri, che si contendono un letto nelle 446 strutture alberghiere ed extralberghiere del comprensorio, e allora Todi, giocando con il nome di Pepper, diventa una piccola Beverly Hills, per la gioia del sindaco Antonino Ruggiano, che è riuscito a ridare slancio alla cultura, al turismo e all’economia di una città di 16mila abitanti, sfruttando l’onda artistica americana pur conservando, almeno per ora, l’identità locale.

«È la nostra antichissima storia a essere la migliore garanzia per il futuro», dice. «La salvaguardia dei giusti equilibri tra città e campagna, fra tutela delle tradizioni e spinta all’innovazione, ha garantito finora la possibilità di vivere in un piccolo centro nel quale non manca nulla: da un’intensa attività sociale e culturale alla connessione a banda larga. Gli investimenti che stiamo facendo vanno tutti in questa direzione. Le stesse azioni valgono per tutto il territorio, per le frazioni di Pontecuti, Cecanibbi, Pesciano, Ripaioli, Montemolino e Ilci, che oggi sono gemme incastonate intorno alla città, e per altre comunità, a partire da Collevalenza, i cui interventi sono in corso o in fase di finanziamento». Il suono delle campane si arrampica fino al cine-teatro Nido dell’Aquila presso l’ex monastero delle Lucrezie con la terrazza superiore che si lancia sulla valle del Tevere, e poi penetra nei gangli sotterranei del borgo: oltre 5 chilometri di cunicoli e gallerie con più di 30 cisterne preromane, romane e medievali e 500 pozzi di varie epoche storiche. Le cavità visitabili si trovano nel lato ovest di Todi, in via del Monte e ospitano Secret Water, un percorso con quattro videoinstallazioni permanenti di Fabrizio Plessi, pioniere della videoarte italiana, che conferma quel continuo dialogo fra passato e futuro che si avverte in ogni angolo della città.

I rintocchi alfine si quietano in un’ondata di rosso tramonto che allaga la valle del Tevere e le due sponde di Ponterio e Pian San Martino dove luccica un ponte di ferro, residuo bellico appena riqualificato, che per 70 anni è stato l’unico collegamento tra i due paesi. L’hanno ribattezzato il “piccolo Brooklyn” e in effetti lui è «molto pittoresco!».


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