Umbria, arte, natura tesori e delizie culinarie a non finire

Un itinerario di 4 giorni che si snoda in uno scenario che sembra immutato da secoli. L’Umbria è senza dubbio una meta ideale per una visita tra natura, arte, storia, e nella grande tradizione enogastronomica, che, con i suoi numerosi eventi che si susseguono, come Frantoi Aperti, sono un forte richiamo, anche internazionale. Perché è nel passato di un territorio che affondano le radici di tutti gli aspetti che ne caratterizzano la cultura. Una regione dove tutto è armonia, terra di santi e movimenti religiosi, che, legandosi alle vicende della storia, hanno dato vita a un patrimonio spirituale e monumentale conosciuto in tutto il mondo.

“In viaggio la cosa migliore è perdersi. Quando ci si smarrisce, i progetti lasciano il posto alle sorprese, ed è allora, ma solamente allora che il viaggio comincia.”

Nicolas Bouvier

Cominciamo col dire che questo invito al viaggio non è rivolto al collezionista di chilometri, ma al viaggiatore curioso, perché questo spicchio di Umbria non merita una visita frettolosa. Ci sono luoghi in cui il legame tra la terra e l’uomo sembra essere più felice. Dove l’ingegno degli agricoltori ha cesellato pazientemente l’ambiente, il paesaggio, bonificando, dissodando, e piantando milioni di ulivi e vigneti che, oltre a dare oli e vini pregiatissimi, sono diventati il simbolo stesso del territorio. Così è senz’altro per l’Umbria, dove le colline dal profilo dolce e i borghi medievali sembrano nati dalla stessa mano, creando paesaggi di rara bellezza. Qui visse San Francesco, dapprima ricco e spensierato, poi , vestito di soli stracci, con stupore e meraviglia ripercorse queste stesse strade cercando di vivere al servizio dei più deboli. E’ un luogo dove rigenerarsi, e chi ci arriva lasciando la superstrada, avrà la sorpresa, chilometro dopo chilometro, di ritrovarsi a dialogare col passato. Borghi silenziosi, monasteri, chiese umili di campagna non si contano, abbellite dalle mani di pittori e scultori che hanno lasciato il segno immortale dell’arte, testimoni del genio italiano nel mondo. Si chiamano , Giovanni Di Pietro detto Lo Spagna, il suo allievo Pietro Vannucci detto il Perugino, Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, Matteo da Gualdo e tanti altri, insomma una parte di quel 70% di patrimonio artistico mondiale, che si ritiene sia suddiviso tra le nostre 20 regioni. Ma l’Umbria non sazia solo chi cerca i piaceri dello spirito, o i suoi tesori artistici, accontenta anche chi ricerca una enogastronomia d’eccellenza, e io arrivo in un weekend di novembre, in occasione di Frantoi Aperti (29 ottobre-27 novembre) che, da 25 anni, apre le porte ai turisti, dei frantoi impegnati nella molitura di olive appena raccolte. Dopo la serie infinite di gincane sulla superstrada E45, esco all’altezza di Città di Castello per visitare la vecchia struttura dell’ex seccatoio del tabacco, dove sono custodite molte delle opere di Alberto Burri (1915-1995), grande artista che in questa cittadina venne alla luce, che ha influenzato come pochi altri, le vicende dell’arte contemporanea. L’enorme struttura nera, di 29 mila metri quadrati, accoglie le opere del pittore dei catrami, degli stracci, della plastica, dell’acciaio, un bell’esempio di come l’arte moderna si sposi e si nutra delle ex strutture industriali, in un affascinante osmosi.
Prossima tappa di questo mio girovagare nella valle del fiume Tevere, qui ancora infante, è Montone, un paese medievale ben conservato e immutato da secoli, difeso da possenti mura, circondato da boschi e sorgenti, appollaiato in alto su una collina dominante la valle del torrente Carpina, invisibile per la nebbia mattutina. Stupendo il museo civico, ricavato nel convento della chiesa di San Francesco decorata con affreschi dal XIV al XVI secolo, visito la chiesa, che divenne edificio della potente famiglia del condottiero Andrea Fortebraccio, detto Braccio da Montone nel XV secolo, e che ha lasciato testimonianze della sua potenza in tutta la regione, poi mi perdo nei vicoli inseguendo la musica della banda, che suona in occasione della Festa del bosco, con bancarelle che vendono frutti ormai dimenticati : corbezzoli, giuggiole, melograni, varietà di mele antiche che non hanno mai avuto contatti con pesticidi. La tranquillità e la bellezza del luogo aiutano ad attutire lo stress del mondo fuori da qui, cosa che ha ammaliato Giancarlo Polito, lo chef del ristorante la Locanda del capitano, un salentino trapiantato e ben radicato in questo borgo. Soprannominato lo chef hollywoodiano, perché non è raro incontrare qualche attore o vip nel suo locale, Giancarlo ha girato il mondo ma, nel 1997, in occasione di una visita a Montone, percepì immediatamente che quello sarebbe diventata casa sua. Una laurea in economia del turismo presa durante la pandemia. Nel periodo più duro, sperimentava nuove ricette che offriva alle signore del vicinato per ricevere consigli e plausi. Tre volte alla settimana si reca in campagna per acquistare prodotti dei contadini: grani antichi, legumi autoctoni, tartufi, che trasforma con creatività in capolavori, da vero “artigiano dei fornelli” come ama definirsi. Mi avvio per uscire fuori dalle mura a riprendere l’auto, mentre la brezza autunnale incanala nei vicoli profumi di pane, vino e di olio nuovo. Il parcheggio di Piazza Matteotti ad Assisi è la mia prossima meta. Qui nacque Francesco (1182-1226), l’umile tra gli umili, il poverello che donava tutto se stesso per gli altri. Gioirebbe se vedesse la basilica a lui dedicata, con migliaia di visitatori a naso in su, ammaliati dalla bellezza dei muri dipinti da Giotto, dal Lorenzetti, Cimabue, Martini.

“Assisi bisogna “viverla”, va “respirata” nella sua atmosfera particolare, possibilmente nei mesi meno affollati, dev’essere vista al tramonto con le case che si tingono di rosa e gli uliveti circostanti che si trasformano in un mare ondulato argenteo. San Francesco poteva nascere solo qui, in questa cittadina che è il cuore dell’Umbria”, mi racconta Daniela Tabarrini della residenza La Corte, che mi accoglie. Stanotte dormirò ai piedi, letteralmente, della splendida cattedrale di San Rufino, con la sua semplice e austera linea ingentilita da tre portali e tre rosoni di grande fattura. Nel borgo è in corso UNTO 2022, nei weekend di novembre, manifestazione che aderisce a Frantoi Aperti, con eventi, degustazioni, musica “a macchia d’olio”, nei vicoli trecenteschi, nelle piazzette e cortili, con grande partecipazione di gente. Se decideste di pranzare in una delle numerose trattorie di Assisi non perdetevi i maccheroni con le noci e la corallina umbra con bruschette all’olio extravergine DOP. Dalle mura della basilica del santo, mi godo uno straordinario panorama della sottostante piana, con veli di nebbia in dissolvimento, e la cupola di Santa Maria degli Angeli, spuntare solitaria. Qui, San Francesco morì nella sua celletta il 3 ottobre 1226.

Continuo il mio tour prima di raggiungere Norcia, la mia tappa finale, e una ripida salita mi introduce nel cuore di Spello, da una delle tre porte augustee che cingono il borgo. Ma il grande tesoro che Spello conserva e che bisogna assolutamente vedere, sono i meravigliosi affreschi del Pinturicchio che ornano la Cappella Baglioni nella chiesa di Santa Maria Maggiore, un suo quadro nella vicina chiesa di Sant’Andrea, e la Pinacoteca, piccola ma interessantissima. Saziata la vista, mi avvio per raggiungere Trevi, una delle perle della fascia olivata, patria dell’eccellente olio extravergine DOP umbro. E’ meraviglioso il colpo d’occhio sulla cascata di case che, dalla strada in salita, si ha di questo borgo antico esposto al sole da mattino a sera. Il nastro d’asfalto serpeggia tra vigneti e uliveti, toccando la chiesa rinascimentale di Santa Maria delle Lacrime, che custodisce un pregevole affresco del Perugino e dello Spagna. Viuzze, passaggi coperti, piazzette, formano, immutato da secoli, il tessuto viario di Trevi, tutt’intorno uliveti, carichi di drupe pronte per essere molite nei numerosi frantoi attorno, dove ci si può fermare per comprare l’oro verde umbro. Tra i più noti c’è il frantoio Gaudenzi, con la sua struttura in pietra, e all’interno tutto un luccicare di acciaio per estrarre al meglio l’olio. Per questo Francesco, il titolare, accompagna un folto gruppo di turisti mentre le macchine sono in funzione col loro carico di moraiole, la varietà più tardiva di olive autoctone. A Bovara, a due chilometri da Trevi, ci sarà anche un concerto ai piedi dell’ulivo millenario di Sant’Emiliano, un vero e proprio monumento della natura, un patriarca che ha sfidato il tempo. E’ sopravvissuto alle numerose gelate invernali che hanno invece decimato la quasi totalità degli altri ulivi. Merita una visita il museo dell’olio all’agriturismo I Mandorli, a due passi, dove si può visitare un antico frantoio del 700 con una macina in pietra e presse in legno.

Proseguo per raggiungere Campello alto, e sulla destra mi appare il Tempietto del Clitunno, eretto tra il VII e il VIII secolo d.C, su un preesistente sacello cristiano, inserito tra i sette gioielli italiani Longobardi, patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. Un chilometro esatto e si giunge alle Fonti del Clitunno, con le sue acque cristalline che tanti viaggiatori illustri del passato hanno incantato, e a cui hanno dedicato versi. Il laghetto di circa un ettaro è creato dal fiume omonimo, e l’acqua limpidissima permette di vedere le polle sorgive che attraverso vie segrete del monte Serano fuoriescono qui. Lungo le rive erbose crescono filari di pioppi e salici, ma anche un secolare Taxodium dalle foglie rosse molto scenografico. Tra le fronde dei pioppi intravedo Campello Alto col suo castello, immerso tra gli ulivi e cinto da mura circolari. Costruito da Champeaux da Rovero nel 921 è un borgo speciale, per la sua posizione strategica, in alto sulla piana, ma anche per il vasto tappeto di oliveti che lo circonda in uno scenario paesaggistico di straordinaria bellezza. Passerò la notte nel Relais Borgo Campello, ricavato da una parte del complesso monastico dei Barnabiti e restaurato grazie a una fondazione creata nel 1997 da Daniela Di Fabio, restauratrice, e Vincenzo Naschi, con un passato di manager per grandi aziende. Si conobbero qui da ragazzi, negli 1980, durante le colonie estive, e il sogno, un giorno, di tornarci per rimettere a posto il borgo, abbandonato da tutti gli abitanti dopo il devastante terremoto del 1997. Grazie alla Borgo Campello Foundation, aiuti con fondi europei e una ditta di costruzioni specializzata antisismiche friulana, quel sogno tenuto stretto tanti anni, mai fatto morire, prese il volo, e oggi il Relais è realtà, con una SPA e un ottimo ristorante, diventata l’attività principale di Daniela e Vincenzo che riservano un’accoglienza curata e a costi ragionevoli. All’interno di una camera ci si addormenta addirittura guardando un affresco del Maestro Di Fossa, con un Crocifisso e Santi, e in un’altra sala una Madonna della Misericordia dello Spagna risalente al XVI secolo.

Non mi perdo una sosta gastronomica Al Capanno di Torrecola, a 11 chilometri da Spoleto, dove la famiglia Rastelli, propone piatti del territorio e ricette della tradizione, detentrice di tre gamberi nella guida trattorie del Gambero Rosso, il massimo riconoscimento per ristoranti semplici e veraci, contraddistinti da un ottimo rapporto qualità-prezzo. Cristina e Daniela mi coccolano con il loro piatti: patata ripiena con uovo, fonduta di parmigiano e tartufi neri, mezzelune ripiene di carciofi e mentuccia, pernice con soffritto di erbe e sorbastrelle. Un luogo, questo, adatto a un viaggiatore curioso di assaporare un piatto tipico, un vino, un formaggio o tartufi, ancora meglio se lo si associa ad altri valori come paesaggi o contrade che seducono.

Prima di raggiungere Todi, faccio una visita al borgo di Rasiglia, nota per essere stata costruita su varie sorgenti di acqua. Negli anni passati se ne erano andati via tutti, tranne gli anziani, duri come i ciocchi di faggio, che, con il tempo, invece di marcire, si fanno di pietra. Arrivo e il rumore dell’acqua pervade tutto: incanalata in argini di pietra e cemento corre giù a valle, verso il fiume Menotre, ma c’era stato un tempo che tutta quell’energia venisse sfruttata per smuovere mulini, ruote di frantoi, mantici dei fabbri. Poi arrivò la miseria che costrinse le braccia forti dei giovani a migrare, ma pian piano col turismo molti stanno tornando. Con una discesa infinita tra il bosco di lecci, vado a vedere le suggestive cascate del Menotre a Pale, dove fu stampata la prima pagina della Divina Commedia, poi mi dirigo a Bevagna, borgo con un passato ricco di storia, città natale del poeta latino Properzio. Bellissima la piazza centrale, scelta come location per numerosi film, con la sua struttura medievale e la romanica chiesa di San Michele e San Silvestro. Superata la catena dei monti Martani arrivo a Todi, alta sulla sottostante valle del Tevere, un borgo dove l’auto appare anacronistica con i suoi vicoli strettissimi, piazzette, dove ci si potrebbe aspettare di incontrare ancora banditori o cavalieri. A mezzacosta della collina, si vede la bella chiesa di Santa Maria della Consolazione, ancora senza risposta certa della partecipazione di Bramante nella costruzione. Il Duomo, San Fortunato, la chiesa delle Nunziatine, piazza del Popolo da vedere assolutamente, che mettono Todi nella “classifica” dei borghi di arte e storia umbra e di tante altre cose ancora, al quale non si saprebbe davvero quale posto assegnare. Visitatela e decidete voi.

Seguo l’itinerario che mi porterà a Civitella del lago per una sosta golosa al ristorante Trippini. La strada corre affiancata al Tevere, poi si allarga e diventa il lago di Corbara, formatosi a causa dello sbarramento del fiume per regolarne le piene. “Ho sempre giocato nella cucina di casa da piccolo, e da allora ho sempre pensato che avrei fatto questo nella vita”, mi racconta Paolo Trippini, classe 1979, terza generazione di ristoratori a Civitella del lago. Mi propone due piatti, che sono legati alle materie prime della sua terra, mentre va in scena un tramonto infuocato e visibile dall’ampia vetrata della sala: rigatoni alle erbe, rapa, porcini e polvere di mandorle, a seguire gamberi di fiume in zuppa di lenticchie e castagne. Sapori radicati al luogo, capaci di emozionare, e che lasciano un ricordo indelebile. Riparto all’alba, giù una vasta distesa di nebbia fluttuante copre il lago di Corbara, e le cime delle colline più alte spuntare a formare isole.

Norcia è la meta finale. Presa la statale 395 gli ulivi, salendo, lasciano il posto a castagni e carpini. Un sinuoso percorso costeggia il fiume Nera fino all’altipiano di Norcia, con le sue marcite e i monti Sibillini a farle da corona. Come punto d’appoggio per visitare i dintorni ho scelto l’agriturismo il Casale nel parco, con la sua azienda agricola certificata biologica, dove si coltivano legumi e cereali, ingredienti che servono a Federica, la titolare, per preparare colazioni buonissime con le sue torte. Norcia, che ha dato i natali a San Benedetto e a sua sorella Santa Scolastica è racchiusa nella cerchia delle sue mura trecentesche, in gran parte intatte dopo il sisma del 2016 , che tante vittime e distruzione provocò, non all’interno con il Duomo e il palazzo comunale crollato, e molte abitazioni ancora ingabbiate in una trama fitta di ponteggi. Siamo nella patria della norcineria, e nelle vie del borgo, numerosi negozi mettono in bella mostra salumi, formaggi, tartufi neri pregiati e prosciutti, affettati a mano con grande abilità, arte tramandata da padre in figlio fino ai nostri giorni. “Questa terra rappresenta per noi l’essenza della natura che amiamo, ed è parte delle nostre radici”, mi raccontano Ilaria e Lorenzo, due giovani trentenni, che nel 2016 si trasferirono nel minuscolo borgo di San Pellegrino di Norcia, per concretizzare il sogno della vita: dedicarsi all’agricoltura biologica per coltivare zafferano, lenticchie, farro cereali rari, miele e farine. Ilaria e Lorenzo con l’impresa di Bosco Torto invia queste bontà in molte parti d’Italia. Oggi punto in alto, e raggiungo con la strada che risale i fianchi del monte Ventosola, i 1400 metri di Forca Canapine per vedere Piangrande e Castelluccio di Norcia. Difficilmente si può immaginare un luogo più bello. Isolato su un poggio si vede Castelluccio di Norcia dominato dalla mole del monte Vettore,2476 metri, tra le vette più elevate dell’Appennino. La piana, con i primi venti tiepidi della primavera, diventa una tavolozza colorata titanica, sembra quasi di entrare in un quadro impressionista di Monet, ed è famosa per le lenticchie, piccole e saporitissime. Un luogo selvaggio dove non è raro, nelle notti più silenziose, sentire il richiamo dei lupi sparsi in questa vastità del parco nazionale dei monti Sibillini.


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