Scoppio è un paese deserto, un paese fantasma, un luogo ricco di storia ma senza presente e dal futuro incerto.

Appartiene a quell’elenco - l’Istat ne conta in Italia almeno 6000-, di paesi, frazioni, borghi e località abbandonate. Ma a volte il loro abbandono, dovuto a causa di fenomeni naturali o molto meno tragicamente alla loro posizione, lontana da scuole, lavoro e “modernità”, può generare una nuova vita, triste ma affascinante.

Raccontarlo non è facile, perché non si tratta di narrare un’entità fisica ma uno stato dell’anima, un percorso emozionale.

Scoppio, frazione del Comune di Acquasparta, si trova sui Monti Martani a cavallo fra due valli, quella spoletina ad est e quella del torrente Naia ad ovest.

Il nome stesso rafforza la sua caratteristica geomorfologica. Scoppio deriva dal latino scopulos, scoglio, sperone roccioso.

La sua posizione, abbarbicato com'è su una sorta di terrazza affacciata sulla valle sottostante dove sorge il paese di Firenzuola, lo fa sembrare una fortezza inespugnabile, come solo nelle fiabe o in alcuni film si possono trovare.

Il silenzio totale, per noi che siamo abituati ai rumori, è interrotto di tanto in tanto dal canto di qualche uccello o dal vento che qui non smette mai di soffiare.

Questo stato di cose amplifica il senso di solitudine e rende ancora più misterioso e suggestivo questo luogo ameno; affascinante quanto inquietante per chi ci arriva dal sentiero che porta al valico di Firenzuola.

Arrivando a Scoppio, il paese fantasma, ci si imbatte in un primo monumento all’abbandono e al degrado: il rifugio escursionistico realizzato 30 anni fa (una targa inaugurale riporta la data del 1992) e oggi in un desolante stato di rovina.

Ma se non ci si fa prendere dallo sconforto e si arriva al castello, quello che si vede successivamente riempie la vista e il cuore, suscitando pensieri immaginifici che fanno piombare il viaggiatore che raggiunge questo posto in una dimensione spirituale che lo riporta indietro nel tempo.

Al tempo in cui secondo alcune fonti una comunità religiosa, quella dei monaci Basiliani, nel VI secolo d.C. si insediò in questi luoghi.

Oppure lo trasporta alle soglie dell’anno 1000, quando si sa che Scoppio faceva parte delle terre appartenenti ai conti Arnolfi, una famiglia di origine longobarda, che sottostava al ducato di Spoleto. Il capostipite del casato, Arnolfo, le ebbe in dono dall'Imperatore Ottone I intorno al 962 d.C. (un documento testimonia il passaggio di queste terre alla Chiesa solo nel 1093, anche se continuarono a mantenere una propria autonomia).

Delle terre Arnolfe si ha notizia in diversi documenti conservati presso l’abbazia benedettina di Farfa, nell’antica terra Sabina, dove sono conservati degli atti notarili che attestano la donazione di alcune chiese proprio alla comunità dei monaci di Farfa.

Per molti secoli, di questo piccolo ma ben fortificato maniero si perdono le tracce, fino al 1750, quando da un documento catastale, si sa che tra le sue mura vivevano 25 famiglie, segno di una vitalità e di un’importanza strategica ed economica notevole.

Controllare uno dei tanti punti di transito trasversali dei Monti Martani lo rendeva essenziale.

I suoi abitanti, discendenti di quei fieri guerrieri devoti a Marte che occupavano questi rilievi dell’Umbria meridionale, appartengono al popolo degli Umbri, “gens antiquissima Italiae”. Il loro carattere ha contribuito ad alimentare la propria fama: gente dura, forgiata da un ambiente non benevolo, testarda e decisa a non voler abbandonare questi luoghi.

Ma l’arrivo della modernità, del progresso, del “benessere” ha fatto cambiare idea anche a loro. E così, intorno al 1950 il paese si spopola. Scoppio viene lasciato dai suoi abitanti e resta vuoto.

Vuoto come le buche di porte e finestre che non ci sono più e che in alcune ore della sera sembrano tanti occhi e tante bocche che rivelano il proprio dolore e gridano la propria rabbia per un contesto che meriterebbe una diversa attenzione, ma che ineluttabilmente deve convivere con questa solitudine quasi scontata.

Per il viandante che arriva a raggiungere questo posto, lo stupore è quello di imbattersi nelle mura trecentesche che, nonostante la già arcigna conformazione dei luoghi, contribuiscono a proteggere l’abitato. Oppure la meravigliosa chiesa di San Michele Arcangelo, edificata attorno all’XI-XII secolo, con l’altare che conserva la simbologia dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio di Salomone e affreschi di Piermatteo Piergili datati al 1576.

Le nuove prospettive

Ora qualcosa sta cambiando. La consapevolezza di possedere uno scrigno ricco di preziose testimonianze, ai più sconosciute, sta mutando il corso delle cose.

La sua marginalità, il suo silenzio, il suo degrado, ma anche con la sua straordinaria bellezza e con le sue enormi potenzialità di suggestione lo hanno fatto scegliere di recente dal regista Wim Wenders per alcune scene del film documentario “Papa Francesco – Un uomo di parola” presentato al Festival di Cannes nel 2018. Il film del regista tedesco è stato girato per due settimane in Umbria e sono state scelte per l’ambientazione alcuni dei luoghi più suggestivi adatti a fare da sfondo alla storia del Papa argentino.

E così nel luglio del 2021 i Comuni di Terni, Acquasparta, San Gemini, Massa Martana, Spoleto e Giano dell’Umbria, le Pro Loco della zona, il CAI di Terni, le Comunanze Agrarie, hanno sottoscritto un accordo di programma: il primo passo volto a stimolare un processo di condivisione che includa quanti più attori interessati possibili, sia pubblici che privati.

Il documento, chiamato Carta dello Scoppio perché firmato proprio nella frazione abbandonata, luogo simbolo dell’intera area, ha la finalità di promuovere forme di tutela e sviluppo di questo meraviglioso pezzo dell’Umbria rappresentato dai Monti Martani.

Intanto, sempre più persone si recano nel borgo fantasma, alla ricerca di una dimensione umana diversa e per certi versi nuova; distante dalla fretta e dal caos dei ritmi frenetici della città e vicina alla natura.

Speriamo sia la volta buona e che quello che fu un paese fiorente e vivace, torni a svolgere quel ruolo di cerniera fra le valli dell’Umbria mediana.




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