L’Almanacco, firmato dal saggio erudito e astronomo, nasce a Spello, nel cuore della campagna umbra, territorio affascinante per storia e natura, tutto da scoprire

Il sottotitolo del celebre Almanacco è, come ogni anno, promettente: un “anno di felicità”. Sarà anche per questa positività che la fama di Barbanera - un erudito astronomo che visse nel 1700 - continua a conquistare, attraverso l'almanacco e il calendario (quest'anno anche in versione Braille e contenuti multimediali), oltre tre milioni di persone. Il suo regno è a Spello, precisamente in un antico bachificio del XVIII secolo immerso nella campagna umbra San Giuseppe. Qui ha sede l’Editoriale Campi, storica casa editrice del Barbanera (www.barbanera.it; visite su prenotazione) che oggi accoglie anche la Fondazione Barbanera 1762. Quando si aprono le porte di questo che pare un mondo a parte, si ha la sensazione di fare un tuffo nel passato e ci si ritrova in luogo in cui regalarsi il tempo di avere tempo.

All’interno della Fondazione troviamo un archivio storico con oltre 50mila documenti di cui 13mila almanacchi, calendari e lunari da tutto il mondo, libri, lettere d'amore, vecchie copertine di giornali: testimonianze di un'Italia che non c'è più e che toccano le corde della nostalgia. E se si ha la fortuna di essere accompagnati da Luca Baldini, l'amministratore delegato, ogni scoperta avrà una magia in più. Luca racconta aneddoti, curiosità legati a questo uomo filosofo ed eremita dalla folta barba scura, dedito alla contemplazione del cielo, spesso accompagnato dal suo fedele amico Silvano. Si apprende così che il Barbanera è stato citato in tutti i più importanti dizionari italiani (dallo Zingarelli alla Treccani) e accolto nelle opere di personaggi illustri: da Pirandello a D’Annunzio passando per Montale.

Aggirandovi tra gli scaffali ed esaminando le copie esposte, vi accorgerete che, nel corso degli anni, i temi trattati sono rimasti gli stessi: consigli domestici, giardinaggio, ricette, astronomia, oroscopi, avvertenze terapeutiche contro i malanni, date da ricordare e un’attenzione al benessere. Il tutto all’insegna dell’ottimismo e della meraviglia. Una curiosità sono i calendari tascabili del primo Novecento, ispirati all'Art déco e realizzati con carte pregiate e dettagli preziosi, che i barbieri davano ai clienti a inizio anno. O quelli impregnati di essenze profumate venivano regalati da alcune profumerie come strenna di Natale.

C'è da aggiungere che la Collezione degli Almanacchi Barbanera, dal primo lunario del 1762 al 1962 (ben 365 esemplari!) è stata riconosciuta come Patrimonio documentario dell’umanità e inserita nel “Registro della memoria del Mondo”. Il che vuol dire che come l’Alfabeto fenicio, il Diario di Anna Frank, la Nona Sinfonia di Beethoven è espressione di una cultura in grado di segnare il cammino delle civiltà.

La Fondazione è circondata dall’Orto giardino delle Stagioni, uno scrigno di biodiversità, firmato dall’architetto paesaggista Peter Curzon, tra fontane e pergolati, fiori ed erbe officinali, frutta e ortaggi, dove si può passeggiare.

Da qui si va alla scoperta di Spello, arroccato su una collina alle estreme pendici meridionali del Monte Subasio, che incanta anche per l’alta concentrazione di chiese e abbazie, profonda testimonianza dello spirito francescano che domina questi luoghi. Deve, tra le altre cose, il suo prestigio anche alla Collegiata di Santa Maria Maggiore con la cappella Baglioni, affrescata dal Pinturicchio, uno dei maestri del Rinascimento italiano e dai suoi allievi (pare vi abbiano lavorato ben cinquanta mani!) nel 1501 e che riproduce scene del Vecchio Testamento: l'Annunciazione, la Natività e la disputa dei mercanti nel tempio. Da sottolineare la prospettiva - Pinturicchio è tra i primi a crearla - la cura dei vestiti, quasi fosse una sfilata di moda a quei tempi e il lago Trasimeno come sfondo. Vi si conservano anche due opere del Perugino.
Ovunque tra i vicoli medievali e di pietra rosa, tra palazzi signorili e porte romane, lungo la cinta muraria, ci sono piante verdi e, nella bella stagione, un profumo inebriante di fiori. Del resto siamo nella città delle Infiorate artistiche, la cui festa si tiene tra maggio e giugno, in concomitanza con il Corpus Domini. Per conoscere qualcosa in più su questa festa, non si perda il Museo delle Infiorate, in piazza della Repubblica. Attraverso video e fotografie, si viene a contatto con una delle più alte espressioni della natura e dell’arte: 15 milioni di fiori e boccioli raccolti annualmente; 65 specie floreali, 90 tonalità di colore; 12 ore consecutive di lavoro da parte dei maestri infioratori che depongono centinaia di milioni di petali sull’asfalto per realizzare soprattutto immagini sacre.

Eccezionale, la vista dalla terrazza del Belvedere. Ci si arriva attraversando porta dell’Arce, uno dei più antichi accessi alla città: da qui, quando il cielo è terso, si vede anche la vicina Assisi. Infine, la Villa dei Mosaici (www.vivispello.it) di età imperiale con più di 500 metri quadrati di mosaici: animali selvatici, elementi geometrici. Il mosaico nella stanza principale, il triclinio, riproduce una scena di mescita del vino. Del resto siamo nella terra del Sagrantino il cui vitigno fu importato nel XIV-XV secolo dall’Asia Minore dai seguaci di San Francesco di ritorno dai loro viaggi di predicazione e che diverse cantine ne fanno il punto di forza, come Lungarotti (www.lungarotti.it) a Torgiano. Qui, la famiglia, con la Fondazione omonima, ha dato vita pure al Muvit Museo del Vino, all'interno del seicentesco Palazzo Graziani Baglioni, in cui ritrovare manufatti legati al nettare degli Dei e alla vinificazione. Vi sono esposte anfore in terracotta, caraffe "scherzo", coppie di calici in vetro soffiato del secolo XVIII utilizzate come dono agli amici, sculture lignee, bottiglie antropomorfe, incisioni e disegni da Mantegna a Picasso. Non mancano urne cinerarie etrusche con decorazioni che riportano alla mente la libagione agli dei, preliminare di ogni banchetto, e al suo significato di viatico per il viaggio ultraterreno che attendeva il defunto.

Un discorso a parte meritano le cosiddette coppe “a inganno”, denominate “Bevi se puoi”, legate all’aspetto ludico e conviviale del banchetto: il bevitore era messo alla prova poiché doveva individuare il meccanismo, legato a una serie di fori, che gli consentiva di accedere alla bevanda. Se ciò non accadeva, veniva “innaffiato”.

Nella vicina Bevagna (www.comune.bevagna.pg.it), antica capitale degli Umbri, si torna indietro al Medioevo con le botteghe che hanno recuperato le tradizioni dei mestieri di una volta, come la cereria che fa candele - specie il duplero caratterizzato da una doppia fiamma - in pura cera d'api ma anche il setificio (la tessitura su antichi telai), la cartiera (la produzione di carta bambagina, realizzata con polpa derivante dagli stracci). Lavorazioni protagoniste del Mercato delle Gaite, kermesse in giugno che recupera la tradizione storica. Su piazza Filippo Silvestri (dedicata all'entomologo di fama mondiale) dall'armonica disarmonia affacciano monumenti religiosi e civili, tra cui il Palazzo dei Consoli, con il suo elegante prospetto in travertino e arenaria, ritmato da un duplice ordine di bifore gotiche. L'ingresso si trova in cima a uno scalone seicentesco e ospita il Teatro Francesco Torti, un vero gioiello d'arte inaugurato nel 1886 e decorato da due maestri dell'epoca: Domenico Bruschi e Mariano Piervittori. Ovunque, per le strade, un'atmosfera che avvolge e ammalia, con una trama scomposta e arzigogolata dei suoi vicoli, spesso utilizzati come set cinematografici, specie per ambientazioni medievali. Tra le pellicole girate, la serie de I Medici e il film Il Nome della Rosa.

Infine, non si può ripartire senza una visita a Foligno. Da vedere, il Museo della Stampa, collocato a palazzo Orfini e affacciato su piazza della Repubblica. Il palazzo tardo quattrocentesco era l'antica dimora della famiglia Orfini, ricchi zecchieri pontifici e divenne sede della prototipografia Orfini Numeister. È qui che Johannes Numeister, allievo di Gutenberg, stampa, nel 1472, per la prima volta la Divina Commedia di Dante Alighieri. Nella Sala dei Lunari si ammira da vicino qualche copia del Barbanera. A pochi passi si apre poi Palazzo Trinci della famiglia omonima, che esercitò la Signoria sulla città fra il 1389 e il 1407, con una scala Gotica decorata con motivi geometrici a trompe l'oeil. Attorno alla scala ruota l'intero complesso architettonico. Di qua e di là affreschi tardo gotici, tra cui quelli di Gentile da Fabriano e i suoi collaboratori eseguiti tra il 1411 - 1418, ospitati al Piano nobile ("Storie di Romolo e Remo"). La cittadina dantesca è famosa anche per la movida, una sorta di Riccione umbra: vivace e piena di giovani, un richiamo anche per gli abitanti dei paesi vicini che vengono qui a passeggiare, fare shopping, per l'aperitivo o per assaggiare la Rocciata (da Central Bar, proprio su piazza Repubblica) il dolce tipico che si prepara soprattutto nel periodo natalizio: una sfoglia sottile ripiena di mele, miele, noci, uvetta, cacao, cannella, cioccolato, pinoli.

Tra le particolarità cittadine, a Foligno spicca la Calamita cosmica, nella ex chiesa della Santissima Trinità in Annunziata, capolavoro dell'artista Gino de Dominicis. Fa parte del Ciac, polo museale di Arte Contemporanea e si tratta di una opera di ben 24 metri, larga nove, alta quasi quattro che riproduce uno scheletro umano con un lungo naso a becco di uccello. Un'asta dorata che parte da una delle falangi è la Calamita cosmica, da cui prende il nome, una sorta di magnete indirizzato verso l'universo (www.calamitacosmica.it).


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