Dal gigantesco scheletro di Gino De Dominicis alle collezioni e alle mostre del centro Ciac, dall’avveniristica chiesa di Massimiliano Fuksas alla fontana delle tartarughe di Ivan Theimer, un itinerario in città sul filo dell’arte contemporanea

La chiesa sconsacrata della Santissima Trinità in Annunziata di Foligno regala un intenso “incontro” con l’arte contemporanea: incorniciato dalle forme neoclassiche dell’edificio, sul pavimento si allunga, supino, un gigantesco (24 metri) scheletro umano in vetroresina, ferro e polistirolo. Dal teschio spunta un becco a forma d’uccello, i piedi paiono quasi uscire dalla porta; su una falange della mano destra sta in bilico un’asta di metallo dorato alta quasi 8 metri. Ed è proprio questo elemento, la Calamita Cosmica, a dare il nome all’opera, la creazione più enigmatica di Gino De Dominicis, controverso protagonista dell’arte italiana del dopoguerra, eccentrico, carismatico e non inquadrabile in alcuna corrente. Realizzata nel più assoluto segreto alla fine degli anni 80, la scultura nel 1990 si materializzò a sorpresa, come un prodigio, sotto le alte volte del Museo di Arte Contemporanea di Grenoble. Negli anni seguenti, fu esposta in diversi luoghi, dalla reggia di Versailles a quella di Capodimonte, prima di trovare la sua collocazione definitiva nel polo museale del Ciac, il Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno.

Camminando attorno allo scheletro e osservandolo dal ballatoio metallico che corre lungo le pareti della chiesa, se ne colgono i rimandi esoterici: il becco a forma d’uccello, elemento ricorrente nelle opere di De Dominicis, allude all’esistenza di altre forme di vita nell’universo; l’asta evoca una calamita che scandisce il tempo, ma anche un’antenna, pronta a intercettare i segnali del cosmo. «Il tempo della Calamita Cosmica è ancestrale: rimanda alle magie di età remote, sprigiona il fascino misterioso del mito, evoca un lessico dimenticato», spiega il critico d’arte Italo Tomassoni, cofondatore e direttore del Ciac, che sta per mandare in stampa un saggio dedicato all’opera. «È un capolavoro di un artista che ha cercato come nessuno l’impossibile, evocato il mistero della vita e della morte, ricercato l’immortalità e celebrato il cosmo e la bellezza femminile».

L’opera di De Dominicis è il perfetto esordio per un itinerario a Foligno sul filo conduttore dell’arte contemporanea. Prima tappa è il grande parallelepipedo rivestito in corten color ruggine che costituisce la sede principale del Ciac, sorto nel 2009 sulle rovine della vecchia centrale del latte. Realizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno in collaborazione con il Comune, è un contenitore che ospita mostre e una collezione permanente e organizza incontri dedicati all’arte contemporanea. La sua presenza ha riaffermato e consolidato una vicinanza di Foligno all’arte del presente emersa già in precedenza: nel 1967 portò alla realizzazione a palazzo Trinci della rassegna “Lo Spazio dell’Immagine”, uno dei primi grandi eventi di arte contemporanea in Umbria, a cui fece seguito nel 1983 “Il Tempo dell’Immagine”. «Fin dall’inaugurazione, l’identità e la vocazione del Ciac sono state quelle di rinnovare e soprattutto di creare una coscienza di vivere il nostro tempo anche attraverso il contributo dell’arte contemporanea. E ciò al di fuori della fatuità della moda», sottolinea Tomassoni. Dal 2009 a oggi, il centro ha ospitato una trentina di esposizioni, tra cui le retrospettive degli italiani Luciano Fabro, Vincenzo Agnetti, Giuseppe Uncini, Ugo La Pietra, Carlo Maria Mariani e dell’architetto Giuseppe Terragni e grandi personali di Julian Schnabel, Hermann Nitsch, Shozo Shimamoto e Ivan Theimer. Ha spesso presentato opere inedite, e talvolta create ad hoc da Sandro Chia, Giuseppe Gallo, Chiara Dynys, Giuseppe Stampone e Omar Galliani, e dedicato grande attenzione alla fotografia, con mostre di Gabriele Basilico, Daido Moriyama ed Edward Weston. L’8 ottobre sarà inaugurata una mostra dedicata ai Bachi da Setola di Pino Pascali, mentre per marzo 2023 è in programma una personale di Gian Maria Tosatti, dopo il successo alla Biennale di Venezia.

Uno stretto legame con la dimensione espositiva ha anche la Collezione permanente di arte contemporanea della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, inaugurata al Ciac nel 2019: «La collezione è nata per documentare le mostre degli artisti che hanno esposto e collaborato con l’attività del Ciac, quasi a ripercorrere le tappe che hanno maturato la formazione di una coscienza della contemporaneità attraverso l’arte. Ed è quindi in continua evoluzione», spiega Tomassoni. Tra le opere, due grandi tele di Claudio Verna, maestro della pittura analitica e un raro dipinto dell’architetto Giuseppe Terragni, degli anni 30. Sono presenti anche diversi artisti legati al territorio come Bruno Ceccobelli, Virginia Ryan, Luigi Frappi, Giuseppe Riccetti, Colombo Manuelli e Rossella Vasta. Usciti dal Ciac, in pochi minuti si raggiunge la Biblioteca Comunale, dove si possono consultare esemplari della Divina Commedia illustrati da importanti artisti contemporanei (Cucchi, Isgrò, Tirelli, Paladino, Pizzi Cannella, Barni, Serafini, Di Stasio, Dessì, Senatore) a partire dal 2006, per celebrare la prima copia a stampa del poema, realizzata a Foligno nel 1472.

L’itinerario nel contemporaneo prosegue all’aperto, in luoghi segnati da interventi concepiti per dialogare con la storia della città e rivitalizzarne gli spazi. Su piazza Piermarini svetta, come il fendente di una folgore, l’obelisco retto dall’Ercole di Ivan Theimer, colossale opera in bronzo dedicata a un figlio illustre di Foligno, Giuseppe Piermarini, l’architetto neoclassico che progettò tra l’altro il Teatro alla Scala di Milano e la reggia di Monza. Lo stile è quello tipico di Theimer, artista figurativo amante della classicità e dei simboli delle civiltà antiche, come rivela anche la sua fontana monumentale in piazza Don Minzoni, realizzata dove fino al 1944 sorgeva l’antico palazzo Rodati, distrutto dai bombardamenti. Il suo nome ufficiale è Ricordo del dolore umano, ma in città tutti la chiamano ‘‘la fontana delle tartarughe”: alle due grandi testuggini in bronzo, simbolo dell’eternità, fa da contraltare l’enorme clessidra in pietra e bronzo, che evoca il tempo con i suoi drammi, singoli e collettivi. Ma oggi tutto attorno la vita scorre, ai tavolini dei caffè che si affacciano sulla piazza.

A un momento drammatico della storia della zona, il terremoto del 1997, si collega un’altra importante opera contemporanea, la chiesa di San Paolo Apostolo progettata dallo Studio Fuksas, che sorge in periferia. Con una forte valenza simbolica di ritorno alla vita e alla normalità, il colossale edificio è stato infatti costruito nel luogo dove era stato collocato il grande campo di container allestito dopo il sisma. L’esterno ha l’aspetto di un nudo parallelepipedo in cemento, ma l’interno sorprende: «Massimiliano Fuksas ha concepito una chiesa nella chiesa» sottolinea Tomassoni. Superato l’ingresso vetrato, infatti, si scopre un secondo parallelepipedo cavo che pende dal soffitto, sospeso a qualche metro dal suolo, incorniciando l’area liturgica. La geometria essenziale delle forme crea uno spazio totalmente “altro”, in cui esplorare la dimensione del sacro. L’esperienza si completa percorrendo il perimetro del parallelepipedo maggiore, scandito dalle 14 stazioni della Via Crucis create da Mimmo Paladino: in terracotta e ferro, le opere evocano la Passione di Gesù per simboli o frammenti, con pochi ed essenziali oggetti.



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