«Sappi, Carlo mio, che durante il viaggio ho sofferto il soffribile, come accade a chi viaggia a spese d’altri, e di tale che cerca per ogni verso e vuole i suoi più squisiti comodi, sieno o non sieno compatibili cogli altrui. Ma ciò nonostante, per tutto il viaggio ho goduto e goduto assai, non d’altro che dello stesso soffrire, e della noncuranza di me, e del prendere ogni momento novissime e disparatissime abitudini».

Il 2022 è l’anno che segna il bicentenario della prima volta in cui Giacomo Leopardi intraprese un viaggio. Dalla lettera che scrisse da Roma al fratello Carlo, datata 25 novembre 1822, si intende chiaramente l’inquietudine con cui il poeta aveva affrontato tale esperienza. Salito a bordo di una traballante carrozza, egli aveva salutato Recanati all’alba di otto giorni prima. Fu il territorio umbro a fare per buona parte da scenario a quel trasferimento. Si tratta dunque di un appuntamento con la storia che interessa direttamente l’Umbria. Sebbene avesse già compiuto 24 anni, Leopardi non si era ancora mai allontanato dalla casa nativa, a causa del rigido controllo che il padre Monaldo esercitava su di lui. Roma l’aveva potuta solo idealizzare nei suoi studi classici. Seguendo la tradizione del Grand Tour, dalla città eterna erano passati tutta una serie di poeti e scrittori altrettanto celebri, quali ad esempio Goethe, Chateaubriand, Byron, Shelley e Keats.


La famiglia aveva alla fine ceduto ai desideri del figlio. Monaldo volle però che il viaggio venisse svolto in compagnia dei marchesi Antici, zii materni di Giacomo, presso i quali egli si sarebbe poi dovuto stabilire una volta a Roma. Il giovane era allora partito contrariato, cominciando a soffrire da subito un senso di privazione, una disperata solitudine, uno straniante stordimento, limitato com’era nei movimenti e disturbato da voci e volti che non richiamavano nessun affetto domestico. La comitiva aveva risalito le tortuose strade dell’Appennino ed era giunta in Umbria dal valico di Colfiorito. L’itinerario fu quello classico della Via Flamina. Il poeta sarebbe arrivato a Roma transitando per Foligno, Spoleto, Terni, Narni e Otricoli. Sono quelle le prime città con cui egli incrociò i suoi occhi di novizio viaggiatore. Leopardi avrebbe poi attraversato l’Umbria in altre tre circostanze. Fu però quel viaggio di 200 anni fa a lasciare un segno profondo nella sua vita, pure sotto il profilo delle impressioni che il paesaggio suscitò in lui.


È noto che il 20 novembre 1822 il gruppo soggiornò a Spoleto, poiché da lì Giacomo scrisse una veloce lettera al padre. Le antiche opere architettoniche della città ducale erano state apprezzate da Goethe nel suo Viaggio in Italia. E anche il famoso pittore inglese William Turner avrebbe immortalato il Ponte delle Torri in una delle sue tele.



Leopardi non raccontò invece nulla dei monumenti del luogo, limitandosi a citare la composita compagnia con la quale ebbe a condividere la tavola (“una canaglia di Fabrianesi, Jesini ec.” e “un birbante di prete furbissimo”). Lungo il Corso Garibaldi, c’è una lapide apposta sulla parete di un edificio civile, che fu un tempo sede dell’Albergo della Posta. È dedicata proprio a Leopardi, di cui ricorda i due soggiorni spoletini. Curiosamente, gli studiosi hanno tuttavia rilevato un’inesattezza su quel marmo, connessa alla data del successivo pernottamento. Questo non sarebbe infatti da riferirsi al 4 settembre 1830, come si legge inciso. La seconda sosta di Leopardi a Spoleto andrebbe piuttosto datata al 5 settembre 1833.

Del primo transito dall’Umbria, nelle lettere che Giacomo scrisse alla famiglia, non c’è null’altro che l’episodio sopra narrato. È necessario pertanto inquadrare il concetto leopardiano di viaggio. Per il poeta di Recanati, esso era inteso come strumento di conoscenza degli uomini, una sorta di esercizio di assuefazione a circostanze nuove. Vano è il cercare nel suo Epistolario descrizioni dettagliate di città e monumenti sullo stile degli scrittori a lui contemporanei. Il viaggio era inoltre di stimolo per l’attivazione della facoltà poetica, in quanto capace di generare ricordi che con il tempo assumevano contorni vaghi e indefiniti. A distanza di molti anni da quel transito del 1822, ecco allora irrompere sulla scena un borgo umbro che Leopardi volle evocare con un inatteso, quanto straordinario, particolareggiamento delle immagini, forse unico nella sua produzione.

Egli vide per la prima volta Trevi passando da sotto in carrozza, lungo il tratto di strada tra Foligno e Spoleto. La sagoma inconsueta del suo arroccamento si sarebbe poi sedimentata da qualche parte tra le memorie del poeta. Nel 1831, Leopardi cominciò la stesura del poemetto satirico politico Paralipomeni della Batracomiomachia. Gli occorreva un luogo che potesse fungere da termine di similitudine per Topaia, ossia la città di fantasia dove egli aveva collocato i liberali napoletani insorti nei moti rivoluzionari del 1820-21. Leopardi ricordava il caratteristico impianto urbanistico di quella cittadina, che quasi gli aveva prefigurato i cerchi dell’Inferno dantesco. Di sicuro non c’è molto di idilliaco, ma è proprio in virtù di tale associazione che a Trevi spetta un posto importante nell’opera leopardiana. Nel canto terzo del suo poemetto, il poeta gli avrebbe infatti riservato due ottave, che paiono rifarsi al viaggio del 1822 dalle Marche a Roma:


Come chi, d’Appennin varcato il dorso

presso Fuligno, per la culta valle

cui rompe il Monte di Spoleto il corso,

prende l’aperto e dilettoso calle,

se il guardo lieto in sulla manca scorso

leva d’un sasso alle scoscese spalle,

bianco, nudato d’ogni fior, d’ogni erba,

vede cosa onde poi memoria serba,


di Trevi la città, che con iscena

d’aerei tetti la ventosa cima

tien sì che a cerchio con l’estrema schiena

degli estremi edifizi il piè s’adima;

pur siede in vista limpida e serena

e quasi incanto il viator l’estima,

brillan templi e palagi al chiaro giorno,

e sfavillan finestre intorno intorno.

Due studiosi che hanno scritto di Leopardi in Umbria sono il frate Mario Verducci e l’insigne letterato Lucio Felici. Entrambi lamentavano il fatto che a Trevi non si fosse fatto molto per valorizzare l’affascinante relazione con il poeta di Recanati.


Un’altra città che si ritiene collegata al viaggio del 1822 è poi Terni. Mentre Leopardi si trovava a Spoleto, lo zio Girolamo fu colpito da una forte emicrania, che gli fece risolvere “di allungare di un giorno” la tabella di marcia. Ciò ha portato a ipotizzare che la comitiva avesse approfittato dell’imprevisto per fare visita alla famiglia Cittadini, al cui casato è legata la leggenda del drago di Terni, e con la quale Giacomo era imparentato per mezzo della marchesa Giovanna Antici Cittadini. Ne è ad esempio convinto Attilio Brilli, uno dei massimi esperti in Italia di letteratura di viaggio. Leopardi avrebbe quindi alloggiato presso il Palazzo Cittadini, edificio settecentesco sito lungo Via Roma. La notizia pare essere ricavata da un vecchio manoscritto dello studioso Riccardo Gradassi Luzi non depositato negli archivi della città. A giudizio di chi scrive, è però improbabile che quel presunto soggiorno ternano possa riferirsi al primo viaggio. La parente di Leopardi, nata nel 1806, aveva infatti al tempo solo 16 anni, dubito pertanto che fosse già una componente della famiglia Cittadini. A prescindere dall’oggettività storica di tale informazione, il poeta è comunque passato da Terni almeno tre volte. E lo stesso si può dire per Foligno, Narni e Otricoli, che sono le varie località lungo la Via Flaminia in direzione Roma. Dalla città eterna, egli sarebbe rientrato a Recanati il 3 maggio 1823, facendo lo stesso percorso a ritroso. Di quel trasferimento, Leopardi non lasciò tuttavia riferimenti utili nelle sue lettere.


Un altro aspetto dell’Umbria che ha prodotto delle seduzioni nell’animo del poeta è il concetto di paesaggio storico, di terra depositaria di memorie capaci di risvegliare sentimenti di orgoglio patrio. Si ipotizza che Leopardi, durante la sosta a Spoleto, possa aver visto la lapide collocata presso Porta Fuga a memoria dell’impresa con cui gli Spoletini ricacciarono le truppe di Annibale, già vittoriose al Trasimeno (217 a. C.). La disfatta dei Romani sulle sponde di quel lago era stata decantata da George Byron, uno dei più celebri viaggiatori del Grand Tour sul territorio umbro. Leopardi costeggiò il Trasimeno in due occasioni. La prima nel novembre 1828, di ritorno a Recanati da Firenze in compagnia di Vincenzo Gioberti. La seconda nel settembre 1833, quando insieme ad Antonio Ranieri viaggiava da Firenze verso Roma, con destinazione finale Napoli. Quei passaggi devono aver provocato in lui uno sdegno nei confronti di chi aveva svilito le glorie nazionali. Nel canto primo del poemetto Paralipomeni della Batracomiomachia, ecco allora Leopardi invitare l’estranio peregrin a rivolgere a Spoleto un reverente saluto. Chiaro è sembrato agli studiosi il riferimento al poeta inglese.

Leopardi arrivò invece a Perugia il 12 novembre 1828, dove dovette trascorrere due o tre giorni, forse più. Nel capoluogo umbro, egli incontrò con certezza Giovanni Battista Vermiglioli, fondatore del locale Museo Archeologico, dal quale ricevette “mille gentilezze”. Secondo lo studioso Alberto Galmacci, il poeta avrebbe alloggiato appunto presso il Palazzo Vermiglioli, nonostante nessuna lapide in loco ricordi quel soggiorno. Da Perugia passò di nuovo, cinque anni più tardi, accompagnato da Ranieri. Le relative informazioni di viaggio sono ricavate dal contratto che fu stipulato con il vetturino toscano Luigi Minchioni. La partenza era stata fissata per il 2 settembre 1833 da Firenze. L’itinerario prevedeva delle soste a Perugia per la terza notte, a Spoleto per la quarta e a Terni per la quinta, dove i due amici sarebbero arrivati a mezzogiorno e rimasti «il resto della giornata per veder la Cascata».


Leopardi, che affrontò il viaggio febbricitante, non lasciò testimonianze scritte. La sua visita alla Cascata delle Marmore andrebbe riferita al 6 settembre 1833.

Si è infine stabilito di recente come la famiglia Leopardi avesse una stretta rete di contatti con alcuni personaggi eugubini. La scoperta è nata dal ritrovamento di una lettera che Monaldo Leopardi scrisse il 5 luglio 1798 al marchese Biscaccianti della Fonte di Gubbio, proprio per annunciare la nascita del figlio Giacomo. Il ritrovamento di questa carta ha poi stimolato appositi studi, confluiti nel volume di Anna Maria Trepaoli dal titolo Gubbio, i Leopardi, Recanati: un legame da riscoprire (Fabrizio Fabbri Editore, 2016). Ciò ha permesso di accertare come la bisnonna paterna del poeta provenisse dalla famiglia dei conti Della Branca di Gubbio.

Sebbene nessuna città dell’Umbria possa a pieno titolo definirsi “leopardiana”, si è dato conto di come siano effettivamente numerosi i luoghi della regione in qualche modo connessi con le esperienze del poeta. La lapide collocata a Spoleto è l’unico segno sul territorio che ci ricorda dei suoi passaggi. Il bicentenario del primo viaggio di Leopardi rappresenta dunque l’occasione affinché l’Umbria possa consolidare la sua relazione storica con il tanto illustre ospite.

BIBILIOGRAFIA ESSENZIALE


A. Brilli, S. Neri (a cura di), La Flaminia: la via che cerca il mare, Edimomt, Città di Castello, 2011.

L. Felici, La luna nel cortile: capitoli leopardiani, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2006.

A. Galmacci, Perché Perugia: una storia sull’origine ed evoluzione della città e del suo territorio attraverso il confronto e l’interpretazione dei segni storici sulle mappe, Futura, Perugia, 2007.

G. Leopardi, Paralipomeni della Batracomiomachia, Libreria Europea di Baudry, Parigi, 1842.

L’Umbria: manuali per il territorio, Edindustria, Roma, vol. 3 (Terni), 1980.

A. M. Trepaoli, Gubbio, i Leopardi, Recanati: Un legame da riscoprire, Fabrizio Fabbri Editore, Perugia, 2016.

M. Verducci, “Leopardi e l’Umbria”, in Le città di Giacomo Leopardi, Atti del VII Convegno internazionale di studi leopardiani (Recanati, 16-19 novembre 1987), Olschki, Firenze, 1991.


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