Le viscere di Narni, cittadella il cui nome affascinò persino lo scrittore C. S. Lewis, si popolano di armigeri napoleonici, furbastri fedifraghi e delle nere cappe dell’inquisizione.

Se i protagonisti de Le Cronache di Narnia, giocando a nascondino, finirono per scoprire l’accesso al regno dell’inverno eterno – Narnia – quelli della nostra storia giunsero in un mondo sotterraneo dove era il mistero a regnare e dove le pareti di pietra, slavate dal calcare e dal tempo, avevano composto una malassa di segreti difficile da sbrogliare.

LA BANDA DEL BUCO

E’ IL 1979: sei amici poco più che ventenni e con la passione per la speleologia si calano in un buco nei pressi dell’antico convento dominicano. Il pertugio si apre sul limitare di un piccolo orto cittadino, che un anziano narnese annaffia ogni giorno; sotto i suoi occhi allibiti, i sei speleologi s’insinuano in quella bocca oscura che soleva mangiarsi, di quando in quando, solo un po’ di terra del suo orto. La scoperta è sconvolgente: due ambienti, ricoperti dai sedimenti calcarei fioriti dallo stillicidio dell’acqua destinata agli ortaggi, restituiscono, con un rimbombo, le loro voci eccitate. La curiosità, tuttavia, rimonta subito alla vista di una porta murata a mattoni che, presumibilmente, conduce a un terzo ambiente. Indecisi sul da farsi, i giovani riemergono in superficie: il contadino, subodorata la portata della scoperta e convinto che in quegli ambienti sigillati vi fosse nascosto un gran tesoro, li conduce all’interno di un piccolo magazzino, pere metà pieno di terra, da cui si intravede un passaggio al di là della porta murata. Non c’è bisogno di abbatterla, basta solo scavare un po’. Peccato che i vicini non la pensino allo stesso modo: per paura dei crolli, vietano qualsiasi operazione di scavo. 
Sembrava l’epilogo; tuttavia l’occasione perfetta si presenta durante il corteo della Corsa dell’Anello, quando l’intera città è impegnata in e rumorose manifestazioni di orgoglio rionale. I sei scavano un foro abbastanza grande per passarvi e raggiungere così gli ambienti al di là della misteriosa porta murata. Nasce così la famigerata Banda del Buco.

LA CASSA RUBATA

Uno dei due nuovi vani scoperti, ai quali si accede tramite un corridoio, ha qualcosa di speciale: numerosi graffiti, alcuni dal significato oscuro, ne riempiono le pareti, rendendole simili al delirio di un pazzo. Si tratta infatti di una cella, preceduta da una stanza - poi soprannominata dei Tormenti - verosimilmente sede del Sant’Uffizio. Tesi avvalorata anche da un particolare graffito, sebbene non si abbiano notizie rilevanti sulla presenza dell’Inquisizione in Umbria - tanto – meno a Narni – e nessuno creda che un tribunale tanto severo abbia vessato, seppur in passato, la tranquilla cittadina. Dall’Archivio comunale emerge però un mandato di cattura per un tal Domenico Ciabocchi che, accusato di bigamia e imprigionato in quella stessa cella, il 17 aprile 1726 era scappato strangolando il vivandiere. E’ la miccia che innesca la ricerca. Lo scenario è quello dei saccheggi fatti da Napoleone a Roma, quando l’Archivio Vaticano, per sicurezza, venne trasferito a Parigi. L’accidentato tragitto attraverso le Alpi ne provocò uno sfoltimento consistente e, anche quando Monsignor Marini, alla morte di Bonaparte, venne incaricato di andare a Parigi per fare una cernita e riportarlo a Roma, parte delle carte andò perduta. Si salvò solo una cassa, rubata da un carrettiere, che, dopo varie peripezie, approdò al Trinity College di Dublino. Proprio di quella misteriosa cassa va alla ricerca Roberto Nini, uno dei sei de La Banda del Buco, con l’aiuto dell’accademico irlandese Ian W. Campbell. Inoltre, grazie a un archivista, Nini riesce ad accedere all’Archivio Segreto Vaticano e alla Biblioteca Apostolica. Non basta: siamo nel 1998, e i documenti sull’Inquisizione si trovano tutti nell’Archivio omonimo, per i quali serve un permesso speciale.
Nini torna a Narni rassegnato: la scoperta della sua vita sembra subire una battuta d’arresto per cause che egli non può controllare.

MISTERI IRRISOLTI

Ma nemmeno questa è la fine. Durante una visita guidata nell’ormai riconosciuta Narni Sotterranea, giunge un ambasciatore presso la Santa Sede, il quale certifica che le carte sono in regola per richiedere la tanto agognata autorizzazione, spedita quanto prima al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – Ex Sant’Uffizio – tal cardinale Joseph Ratzinger. Una settimana dopo muore papa Giovanni Paolo II: Ratzinger, eletto papa, dà però prova di un’efficienza proverbialmente tedesca disponendo, prima di entrare in conclave, di smistare tutta la corrispondenza e di concedere le autorizzazioni necessarie. Nini ottiene la sua: ciò gli permette di reperire un articolo de “L’Osservatore Romano”, datato 22 maggio 1953, in cui si dà notizia del regalo recato dall’ambasciatore irlandese a papa Pio XII, in occasione della sua visita a Roma: i microfilm con il contenuto della cassa custodita presso il Trinity College. Allo stesso tempo, da Dublino giungono le copie degli originali: gli ottocento fogli del processo contro il bigamo, un identikit redatto per catturarlo, una descrizione degli ambienti che ha permesso una ricostruzione fedele della Stanza dei Tormenti – con i suoi anelli alle pareti, la culla di Giuda, il cavalletto e le alte finestre, scenario reso piuttosto sinistro dalla tremolante luce delle candele – e della Cella.

All'epoca del processo i graffiti non c'erano: vennero fatti trentatré anni dopo da Giuseppe Andrea Lombardini, guardia d'Inquisizione accusata di aver fatto fuggire un prigioniero. Lombardini rimase in quella cella novanta giorni, tracciandovi figure antropomorfe, soli, lune, quadranti, date e il proprio nome. La t al posto della d che traslittera Lombardini in Lombartini - cosi come la squadra rovesciata - sono stati re - centemente riconosciuti come simboli massonici, aggiungendo un altro, affascinante e controverso tassello alla vicenda della magnifica Narni Sotterranea. Questa, però, è un'altra storia.


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