Due importanti affreschi fuori dalle rotte del turismo. Il ruolo degli istituti religiosi nella gestione dell’arte.

Il santuario della Madonna delle lacrime si affaccia su una distesa di olivi, lungo la strada che si arrampica su fino a Trevi. Una malandata porta in legno nasconde due tesori: Il trasporto di Cristo al sepolcro, di Giovanni Pietro detto “Lo Spagna”, e l’Adorazione dei Magi, di Pietro Vannucci detto “Il Perugino”.

Le opere sono conosciute dagli esperti di storia dell’arte, ma restano fuori dalle rotte del turismo di massa. Il santuario è stato costruito per ricordare il miracolo delle lacrime di sangue sgorgate nel 1485 dall’immagine della Madonna, ancora custodita in un’ala della chiesa. Vi si può entrare solo chiedendo il permesso alle suore della Sacra Famiglia, che gestiscono il vicino istituto per ragazze disabili. È suor Maria Cicero ad aprire la porta e ad accendere le luci. Corre avanti e indietro senza fermarsi un attimo, ma lo fa col sorriso sulle labbra: «La nostra vocazione è l’accoglienza, a volte non abbiamo tempo, ma cerchiamo di essere disponibili e apriamo a chiunque chieda di entrare».

Carlo Roberto Petrini è uno dei maggiori esperti della chiesa e dei dipinti al suo interno. È lui a illustrare i dettagli dell’opera del Perugino: «L’affresco risale al 1521 e fu commissionato dalla comunità di Bovara, frazione di Trevi». Non è un soggetto nuovo: «Richiama L’Adorazione dei Magi di Città della Pieve, ma qui Vannucci – spiega Petrini – inserisce i personaggi nel paesaggio umbro».

È uno degli ultimi lavori del Perugino. «L’affresco ci mostra un artista anziano, dal pennello tremante, ci permette di vedere la sua fase finale, quella del ritorno in Umbria, da vecchio», spiega Rita Silvestrelli, storica dell’arte e docente all’Università per stranieri. Sono tante le opere dell’artista disseminate nel territorio umbro e italiano. A Perugia, dopo aver percorso una lunga strada che dall’Arco Etrusco porta alla Torre del Cassero, si arriva in un luogo appartato, poco conosciuto nel centro della città: il monastero di Sant’Agnese. Oggi è sede di un istituto di monache di clausura. Dietro la robusta porta di legno, che sembra all’apparenza invalicabile, si conserva un dipinto di straordinario interesse: la Madonna delle Grazie.

Anche in questo caso per entrare occorre chiedere un permesso speciale: le suore devono autorizzare la visita, che è possibile solo in strette fasce orarie indicate all’ingresso. «Io ci vengo sempre con i miei studenti. Ogni volta è una grande emozione essere accolti non solo dall’affresco del Perugino ma anche dalla comunità che lo conserva ». Ed è proprio la comunità delle monache ad aver commissionato l’opera all’artista nel primo decennio del Cinquecento: «La Madonna delle Grazie, fra Sant’Antonio Abate e Sant’Antonio da Padova, è un dipinto che invita alla riflessione, al raccoglimento e alla preghiera».

All’ombra della Galleria Nazionale sono tante le opere che restano nascoste, spesso all’insaputa degli stessi abitanti. Nascosto è sinonimo di celato, ma per la professoressa Silvestrelli non è per forza un fatto negativo: «Custodire gelosamente un’opera significa promuoverne la conservazione, quella vera, quotidiana». Secondo Silvestrelli i musei, con tutti i loro pregi, hanno però forti limiti: «Un conto è osservare l’arte fuori contesto, un altro è ammirarla nello stesso luogo in cui l’opera è nata, con le stesse luci che Perugino ha visto mentre affrescava».

A cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, Pietro Vannucci era uno dei pittori più ricercati d’Italia. La sua produzione è disseminata in tutto il Paese, da Firenze a Roma, dove gli affreschi della Cappella Sistina, realizzati tra il 1481 e il 1483, lo hanno consacrato.

Nel 1500, Agostino Chigi, banchiere e appassionato d’arte, in una lettera al padre che gli chiedeva informazioni per un artista da chiamare a Siena, scrive che «Perugino, se fa di sua mano, è il meglio maestro d’Italia».

I privati hanno un ruolo fondamentale nella conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico. «Luoghi come questo sono eccezionali perché mantengono la destinazione d’uso del dipinto. Questo è ciò che tutti gli storici d’arte vorrebbero: rivedere le opere nelle chiese, nei conventi, nei luoghi da dove provengono, ben conservate».

Ma di questi tempi le piccole comunità religiose sono sempre più in difficoltà, sia economiche sia di vocazione: «Il rischio – spiega Silvestrelli – è che le opere d’arte non vengano più controllate. Questo significherebbe una dispersione del nostro patrimonio e la difficoltà di tramandarlo alle future generazioni. Uno scenario preoccupante». In Italia ogni pietra ha una sua storia: «Abbiamo la responsabilità di salvare non solo le singole opere ma tutto il tessuto storico e artistico del Paese».  


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