Monte Acuto e Corona

Smac: questo è il simpatico acronimo del Sito ambientale protetto di Monte Acuto e Corona, un’area ecologica, tutelata dalla direttiva Habitat ed inserita nel progetto rete Natura 2000 della Regione Umbria, che potremmo giustamente definire "al bacio” e che comprende una faggeta ed una lecceta secolare, un popolamento puro di rovere unico in tutta la Regione, secondo la tradizione impiantata dai primi monaci dell’Eremo, boschi di ginepri e corbezzoli maestosi, in cui è tornato il lupo, si aggirano il gatto selvatico e la puzzola, nidificano il biancone e il falco pellegrino.Al CEA di Mola Casanova, si possono ottenere gratuitamente le mappe per le escursioni nella Zona Speciale di Conservazione, con un simpatico libro descrittivo del territorio, oltre che le bici elettriche per effettuare alcuni percorsi a pedali.

«Dai, dai, dai… che c’è, Gina, che c’è lì sotto?». Stiamo tutti con il fiato sospeso, circondando la cagnetta, con tutti i muscoli in allerta, pronti a balzare. La ricerca del tartufo è come una caccia al tesoro nella foresta, condita dall’eccitazione e l’adrenalina delle competizioni sportive. Perché quando il cane trova il pregiato tubero, il cavatore deve lanciarsi in una corsa contro il tempo per evitare che il suo aiutante si sbafi la fatica della giornata in un sol boccone. «Perché i cercatori migliori sono quelli golosi» - ci spiega Giuliano Martinelli, mastro tartufaio e titolare di una delle più importanti aziende tartuficole di Pietralunga, città rinomata per il suo Tartufo bianco e sede di una fiera a tema nel mese di ottobre. Stiamo partecipando ad un fine settimana di full-immersion per ottenere la nostra “laurea della Libera Università del Tartufo”, che comprende uscite con i cani nella Riserva Naturale delle Valcelle, lezioni nel laboratorio di preparazione e conservazione, degustazioni, scuola di cucina e ovviamente, tutti i pasti, colazione compresa, aromatizzati dall’oro nero dell’Umbria.

«Si possono addestrare anche cuccioli a cui i tartufi non piacciono » - riprende il nostro maestro - «che li cercano solo per accontentare il padrone, ma dopo poche ore questi animali perdono in genere la concentrazione ed ogni nuovo odore li distrae dal loro compito». È un lavoro difficile quello del tartufaio, che non ha niente a che vedere con una tranquilla passeggiata nel bosco: si corre frenetici dietro al cane che scorrazza tra arbusti e rovi, cercando di non perderlo mai d’occhio e di distinguere quando è attratto da un animale o da una buona traccia, controllando la coda e la posizione delle orecchie per incitarlo al momento giusto. Ci vuole buon occhio anche per scorgere i più piccoli tuberi, prima che finiscano nelle loro fauci fameliche e per distinguere al volo le varie tipologie, non solo le quattro più famose e prelibate (bianco, nero, bianchetto e scorzone estivo), ma anche le altre meno conosciute e poco appetibili. Come il cosiddetto tartufo dei cervi (Elaphomyces granulatus), che sa di aglio e di fango, oggi scartato, ma che sembra fosse molto apprezzato dagli Etruschi del II secolo a.C. che costruirono la Tomba del Faggeto alle pendici di Monte Acuto, luogo prediletto per la sua ricerca, come tutti i boschi che circondano la valle del Tevere e del Carpina, da Umbertide a Pietralunga. Si dice che persino da San Crescienziano, soldato romano e martire, primo cri-stianizzatore degli Umbri di queste valli, da Città di Castello ad Urbino, durante il suo proselitismo tra le colline di Pieve de Saddi, dove si era rifugiato dalle persecuzioni romane e dove aveva sconfitto un drago, si nutrisse di grandi quantità di tartufi, allora più abbondanti e di grosse dimensioni, capaci di sfamare una piccola folla. Come quella che si era radunata per assistere al suo efferato martirio nel 303 d.C, nello stesso luogo simbolico che oggi conserva nella cripta alcune costole del drago. Non è un caso, quindi, che il primo trattato micologico moderno sulle virtù del tartufo fosse proprio di un medico umbro, tale Alfonso Ceccarelli, in realtà un falsario imbroglione e un millantatore della peggior specie, che, nel 1564, pubblicò Opuscolo de tuberis, un testo forse non propriamente scientifico, né presumibilmente farina del suo sacco, ma sicuramente sincero per quanto riguarda la passione dell’epoca per il gustoso miceto. In realtà, non sappiamo cosa successe al tartufo durante il Medioevo, quando le valli del Carpina e del Tevere, oggi terreno privilegiato di raccolta, furono contese da feudatari e signorotti comunali, guelfi, ghibellini, Longobardi, Ostrogoti e Visigoti. Quando nel XIV secolo il famigerato Braccio da Montone combatteva al soldo di mezza penisola e governava su quello che è considerato il primo Stato dell’Italia centrale, un territorio unificato da Bologna alle Marche, del nostro amato tartufo si perdono le tracce.

Non sappiamo se all’epoca del Perugino lo si potesse trovare sulle tavole imbandite degli innumerevoli castelli e pievi che stavano spuntando “come funghi” appunto, per difendere e presidiare il territorio. Da rocca d’Aries al castello Valenzino, da Castiglione Ugolino alla fortezza del Polgeto, le colline erano tutto un fiorire di manieri e torri merlate, oggi riunite di un percorso turistico che porta il nome del noto pittore umbro. Sicuramente il tartufo era tornato in auge nel 1500, mentre i monaci di Monte Corona e Antognolla ingrandivano i loro eremi e santuari in floride comunità agricole ed i signorotti locali di Sorbello e Santa Giuliana trasformavano rocche e fortezze in splendide dimore e popolosi borghi. Era così comune sulle tavole più benestanti da essere conosciuto come “l’aglio dei ricchi”. Forse per questo il Ceccarelli cercò la fama, spacciandosi per un conoscitore e scrivendone con dovizia di particolari, talvolta inventati o sottratti ad altri studi. Da allora, le mode culinarie sono cambiate, così come le funzioni di castelli e pievi, trasformati in campi da golf di lusso, dimore private, aziende agricole e persino in curiosi esperimenti di crowdfunding per cambiare il mondo - come l’ecosostenibile Tribewanted di Monestevole - o in oasi di pace e riflessione - come la Fondazione Civitella Ranieri di Umbertide,

che accoglie gratuitamente, nel maniero di famiglia, gli astri nascenti della musica, pittura, scultura e cinematografia, per un periodo di creatività. Eppure il tartufo di Pietralunga è sempre lì, a fare il re della tavola e della cucina. Circondato oggi da nuove originali tubero-regine: la patata bianca che ha ottenuto il marchio De-Co e l’originale patata viola.

Arte ed artisti

Negli ultimi vent’anni anni, la Fondazione di Civitella Ranieri, creata da Ursula Corning, ha attirato nella sua struttura quasi un migliaio di artisti dei principali campi di espressione moderna (arti visive, musica e letteratura), che nelle settimane di pace e tranquillità regalate dal castello, hanno contribuito a creare le ultime avanguardie del pensiero, condividendolo apertamente con residenti e turisti in serate di lettura, incontri, presentazioni e open-lab. Il castello non è visitabile dai turisti, a eccezione dei giardini, (su prenotazione scrivendo a diego@civitella.org con almeno una settimana di anticipo), ma è facile partecipare agli eventi pubblici della Fondazione organizzati al suo interno, semplicemente seguendo le date pubblicate sulla pagina Facebook della Fondazione, sul sito web (www.civitella.org) o iscrivendosi alla mailing list. Non da meno la fabbrica delle Ceramiche Rometti, che hanno accolto negli anni le principali firme internazionali dei design e che ogni anno bandiscono un premio per giovani scultori delle Accademie e Scuole internazionali, che comprende, per i finalisti selezionati, una settimana di stage presso l’azienda ed infine la realizzazione in serie del pezzo del vincitore. Anche la moda è arrivata a stabilirsi tra le colline: subito fuori Umbertide, in località Migianella, sorge il laboratorio della linea di abiti fatti a mano Mamumble, un originale e fascinoso esperimento di sartoria (www.mamuble.com, ordinazioni on line possibili anche sulla pagina facebook).

Gli itinerari
Primo itinerario
Punto di partenza e arrivo: Umbertide
Lunghezza: circa 110 km

L’itinerario in auto alla scoperta dell’alta val Tiberina e della valle del Carpina può partire da Umbertide, piccolo borgo conosciuto come La Fratta, arroccato su un’ansa del Tevere e caratterizzato da un sistema di abitazioni-muraglia sul fiume. Qui sorge una poderosa rocca del XIV secolo, dove fu incarcerato il famigerato Braccioda Montone e che oggi ospita un Centro per l’arte Contemporanea, con numerose mostre temporanee. Di fronte alla piazza del Mercato, da poco rinnovata, sorge la collegiata di Santa Maria della Reggia, del secolo XVI, curiosa struttura ottagonale, insolita nel panorama umbro, che custodisce una tela rinascimentale del pittore conosciuto come Pomarancio.

Nel  quartiere oltre il Tevere, detto Borgo Inferiore, sorge la bella chiesa con il chiostro di San Francesco, la più antica della città, del XIII secolo, e nella adiacente chiesa di Santa Croce è allestito l’omonimo Museo, sorto per esporre la tela della Deposizione di Cristo del Signorelli ed altri affreschi del Pomarancio. Prima di lasciare la cittadina, non bisogna assolutamente mancare una sosta alla fabbrica-museo delle Ceramiche Rometti, un’icona del design italiano, che sin dal 1927 realizza oggetti d’arte e di arredo d’interni, coinvolgendo artisti del calibro di Ambrogio Pozzi e Chantal Thomas, con la libera espressività della creazione e le tecniche dei laboratori industriali.

Una visita alla piccola fabbrica permette di avere una panoramica su tutta la produzione e di ammirare alcuni pezzi storici, patrimonio del marchio. Con una strada minore, sulla sinistra orografica del Tevere, tralasciando la strada principale per Città di Castello, si raggiunge Montone, città natale di Andrea Fortebraccio e del figlio Carlo, che da qui partirono per conquistare mezza Italia, cacciare i turchi ed ottenere l’investitura papale. Il pittoresco borgo, circondato da mura, a cui si accede ancora per le porte medioevali è stato annoverato fra i più Bei borghi d’Italia ed è indubbiamente uno dei meglio conservati della regione, oltre a godere di un incantevole panorama sulla valle del Carpina.

Per gli appassionati di arte medioevale c’è la pinacoteca del complesso di San Francesco, che accoglie anche il curioso museo etnografico Il Tamburo Parlante, raccolta di oggetti e curiosità africane. Dal borgo parte il sentiero pedonale per la rocca d’Aries di Braccio e per la pieve de’ Saddi, dove avvenne il miracolo e il martirio di San Crescentino (vedi secondo itinerario), mentre la strada asfaltata permette di raggiungere Pietralunga, seguendo la valle del Carpina. La cittadina del tartufo, ormai alle pendici della Serra di Burano e del monte Nerone, è famosa per le sue foreste, che assumono tonalità incantevoli nel periodo autunnale, tanto da vantare l’appellativo di Valle dei Colori. Qui, oltre che con il tartufo, ci si può sbizzarrire con i prodotti della terra: l’Azienda Biologica di Maurizio Carubini coltiva una varietà di patata bianca che ha ottenuto la certificazione DeCo e una originalissima patata viola, ricca di antocianine, che conserva la sua curiosa tonalità anche nelle preparazioni culinarie. Tra le sue curiosità anche una patata rossa, arrivata direttamente dal Perù, zafferano di valle, lino biologico in olio o in farina.

Fatta scorta di pregiati tuberi multicolori, si ritorna ad Umbertide con la strada tortuosa di Vallecchio, che raggiunge la SS219 per Gubbio e che permette di dare un’occhiata alla abbazia protoromanica di Camporeggiano. La strada che rientra ad Umbertide passa giusto di fronte ad un altro luogo imperdibile, appena fuori dal centro: il castello di Civitella Ranieri, sede di una Fondazione privata che dà accoglienza ogni anno a una cinquantina di artisti selezionati a livello mondiale, astri emergenti nel campo delle arti figurative, della musica o della letteratura, che hanno a disposizione sei settimane di permanenza completamente gratuita, da dedicare alla creatività, allo scambio di idee e intuizioni con gli altri ospiti e alla progettazione per il futuro.

Nel periodo estivo, da maggio a novembre, la nobile dimora si apre gratuitamente ai visitatori esterni per una o due sere a settimana, con serate di presentazione degli ospiti presenti, che comprendono lettura di poesia, concerti, estemporanee di pittura, improvvisazioni di composizione e molto altro. L’itinerario prosegue con un anello sul lato opposto del fiume (in direzione di Città di Castello) e si svolta subito sotto i ponti della ferrovia, in direzione Preggio. La bella strada secondaria sulle colline si inerpica alle pendici di Monte Acuto e supera il castello del Polgeto.

Lungo questa strada si incontrano le indicazioni per il borgo di Monestevole della cooperativa Tribewanted, un curioso esperimento internazionale di crowdfunding iniziato nel 2013, per realizzare un ecovillaggio sostenibile, in cui l’esperienza della vacanza si fonde con il desiderio di cambiare il mondo e salvare il pianeta (vedi box). Oltre la chiesa di Bartolomeo dei Fossi, un bivio a destra conduce al feudo di Preggio, limite ideale dei monti del Tevere, conosciuto per le sue castagne - le brige - e con una bella vista sul lago Trasimeno oltre le colline. Si torna leggermente indietro, sino all’ultimo bivio, per imboccare la strada per Magione che supera il colle Campana, quindi si svolta per Borgo Ciglione e Colle Umberto.

Siamo arrivati alle pendici di monte Tezio: si sbirciano i castelli della pieve del Vescovo per poi riprendere in direzione Umbertide con la strada provinciale del Pantano. A San Giovanni del Pantano, svoltando a sinistra e poi seguendo le indicazioni sulla strada del cimitero, si può raggiungere la Tomba del Faggeto, una preziosa sepoltura etrusca, ben conservata ed aperta al pubblico (2 chilometri circa di sterrato + 35 minuti di sentiero). Proseguendo dritti, proprio sulla strada principale, si staglia l’incredibile castello di Antognolla, che sembra uscito da un libro di favole, trasformato in elegante golf club ad accesso pubblico, dove anche i più scettici cederanno al fascino del “green” per un giro di prova all’ombra del maniero. Proseguendo ancora, si arriva al bivio con La Bruna e con le tenute del castello di Ascagnano, sede di un prestigioso allevamento di cavalli da trotto e, infine, all’abitato di Pierantonio. Prima di raggiungere il centro abitato e subito prima del ponte sul Tevere, si lascia la strada principale svoltando a sinistra per la Strada del Sasseto, che ritorna ad Umbertide. Fatti pochi chilometri si troveranno le indicazioni per l’Apistica Montecorona, dove Fernando vi spiegherà con entusiasmo, aneddoti e curiosità tutto il favoloso mondo delle arnie, aprendo per voi uno dei suoi favi e scovando la regina per i più piccini. Se il periodo è giusto, vi mostrerà il certosino lavoro per ottenere la pappa reale, succhiando con un microscopico ago il prezioso nutrimento direttamente dalle celle delle regine e, in inverno, soprattutto con i bambini, vi coinvolgerà per realizzare artistiche candele in cera naturale. Da lui scoverete varietà di miele sconosciute, come quello di edera dalla consistenza cremosa o quello di coriandolo, dolcemente speziato, e assaggerete le specialità al cioccolato e al tartufo.

Continuando a seguire questo piccolo percorso secondario si raggiunge la badia di San Salvatore di Monte Corona (da cui parte il terzo itinerario), sede di un’azienda agricola che, oltre a olio e vino, produce una particolare varietà di pesca, chiamata proprio Montecorona. Dalla scenografica chiesa con cripta medioevale, la piccola strada secondaria procede lungo il Tevere, restando sulla riva sinistra. Qui, un antico mulino in pietra restaurato è da poco diventato la sede del Centro di Educazione Ambientale e Parco Scientifico per le Energie Rinnovabili Mola Casanova. Si tratta di un innovativo laboratorio sulle energie alternative ed ecosotenibili, alimentato da una piccola diga - sullo stesso sito di uno sbarramento di origine medioevale - e da un pozzo geotermico, dove anche più piccini potranno avvicinarsi all’affascinante mondo dell’energia. Al Centro, oltre ad informazioni sull’area naturale, sono a disposizione e-bike che permettono di effettuare una parte del terzo itinerario proposto con la bicicletta.

Secondo itinerario:
le terre di Braccio e San Crescianziano
Punto di partenza: Montone
Punto di arrivo: Pieve de’ Saddi
Durata: 3-4 ore, solo andata

Dislivello: 400 m circa

Note: pur essendo un sentiero di media montagna, perfetto per famiglie con bambini, il percorso nella sua interezza non è da sottovalutare per la lunghezza e i numerosi sali-scendi che si affrontano più volte. Scarpe da trekking e una buona scorta d’acqua sono indispensabili.

Lasciata l’auto nell’ampio parcheggio sotto la porta di ingresso del borgo di Montone, si prosegue a piedi sulla traccia asfaltata che gira attorno al borgo in direzione Pietralunga, tralasciando la strada che corre sotto le mura a destra. Si scende per qualche centinaio di metri e in prossimità di una curva a gomito a destra, si imbocca lo sterrato in leggera salita, con indicazioni per pieve de’ Saddi e rocca D’Aria (o Aries, a seconda del cartello). La carrareccia diventa quindi asfaltata e al primo bivio si prende a destra, di nuovo su mulattiera di breccia (512 m). Continuando a salire dolcemente si arriva ad uno spiazzo a destra (ottima alternativa per lasciare l’auto e accorciare il tracciato). Quindi, dopo che la strada ha deviato a destra, si lascia la principale per un sentiero nel bosco a sinistra, ben indicato, in leggera discesa iniziale e con una pendenza maggiore poco oltre. Si ritrova in poco tempo una pista forestale a mezza costa, piuttosto panoramica sulla valle, che si segue superando alcuni corsi d’acqua. Dopo una serie di curve e superando alcuni incantevoli casali restaurati, si scende drasticamente (314 m), per ritrovarsi su un più ampio sterrato nel fondovalle parallelo alla strada principale per Pietralunga, non visibile oltre la collina. Si segue quindi questa nuova strada, tralasciando il primo bivio e seguendo l’abbondante cartellonistica su una pista secondaria che conduce proprio a fianco di un’altra pittoresca abitazione in pietra, sino a trasformarsi in sentiero che procede in salita per raggiungere la cresta del monte. Si rimane in quota, con una splendida vista sulla vallata, aggirando ancora una dimora storica, sino alla sommità dove si erge rocca d’Aria o Aries, la fortezza originaria da cui Braccio Fortebraccio partì alla conquista dell’Umbria e di mezza Italia.

Si è raggiunta appena la metà del percorso, che ancora scenderà a valle e salirà in quota, leggermente più in alto. La cartellonistica procede sicura verso pieve de’ Saddi, seguendo la mulattiera in cresta sino in località Valcelle di Sotto. Qui il sentiero si biforca in due alternative: la più facile da seguire e meno ripida, anche se più lunga è quella indicata con il numero 114 che, proseguendo nel bosco con innumerevoli saliscendi, raggiunge quasi la località Coloti (sede di un osservatorio astronomico) e poi imbocca il sentiero 111c, seguendo la valletta del Rio Sansa, che si attraversa (305 m) sino a risalire alla pieve de’ Saddi (564 m). Esiste anche un’alternativa più diretta, lungo il sentiero principale 111, a nostro avviso più faticosa e difficile da individuare nella vegetazione, che può essere utilizzata per il ritorno al punto di partenza.

Terzo itinerario: Monte Acuto
Punto di partenza: Badia di Montecorona
Punto di arrivo: cima di Monte Acuto
Durata: 5 ore solo andata
Dislivello: 500 metri

Note: escursione lunga ed impegnativa, che esplora alcune delle più belle montagne della valle del Tevere e che può essere spezzata in tre anelli di lunghezza crescente. La durata è riferita all’arrivo sulla cima del monte. Per l’anello completo, occorre calcolare circa 7-8 ore.

Si parte a piedi lasciando l’auto nell’ampio parcheggio di fronte all’abbazia di San Salvatore di Monte Corona (239 m), proprio a fianco al Tevere, dopo aver visitato la bella cripta del XII secolo e aver fatto rifornimento di pesche della varietà locale nello spaccio dell’azienda. Si sale seguendo la strada indicata su asfalto per l’eremo di Montecorona, che presto si può lasciare per il sentiero 171, un mattonato a gradini nel bosco; si può anche proseguire sulla strada carrabile, presto sterrata, con pochissimo traffico veicolare. Sia con il sentiero a scalini che con la pista brecciata, si sale sempre piuttosto ripidi per guadagnare i 708 metri su cui sorge il santuario dei monaci eremiti, ancora oggi convento di clausura dei frati dell’ordine di San Bruno di Betlemme. La bella chiesa del XV secolo, da poco restaurata, è chiusa alle visite tranne nei giorni di Natale e Pasqua, ma si possono visitare alcune strutture esterne, una piccola mostra fotografica e la foresteria dove sono in vendita gli oggetti realizzati dai monaci. il monastero è dotato di bagni, con acqua potabile.

Terminata la sosta, si scende con la strada sterrata – per un tratto la stessa utilizzata per salire, se si è abbandonato il sentiero mattonato - sino al bivio indicato con il sentiero 172a, che scende verso il borgo fortificato splendidamente conservato di Santa Giuliana (408 m). SI tratta di uno dei tratti più pittoreschi del percorso, una cartolina dagli inconfondibili paesaggi umbri, costellata di casali in pietra, piccole torri e minuscoli feudi. Lasciandosi il piccolo castello alle spalle, si prosegue sulla strada sterrata relativamente in piano, sempre con le indicazioni per il sentiero 172, superando alcune abitazioni private e tralasciando una carrareccia in discesa a sinistra. Si arriva così ad un grande bivio, conosciuto come colle della Croce o podere del col di Vita. Svoltando a destra e seguendo la sterrata sempre in discesa (169a), si ritrova in pochi chilometri una traccia asfaltata secondaria, che ritorna alla Badia di Monte Corona. Svoltando invece a sinistra, lungo la brecciata 171, si scende sempre alla stessa strada, qualche chilometro più a ovest (415 m), proprio di fronte alla strada sterrata che sale verso il Monte Acuto. È il sentiero 171, che prosegue in direzione Galera, antico insediamento militare con torre difensiva. Raggiunto l’abitato in pietra (529 m), oggi in parte sede di un agriturismo, si seguono a sinistra le indicazioni per la vetta, superando un cancello per il bestiame, sul sentiero 170a, che prima scende debolmente di pochi metri di quota, quindi svolta bruscamente a destra e prende a salire ripido in cresta, diritto sino alla cima (923 m).

Lasciandosi alle spalle la croce e guardando in direzione di Umbertide, si intravede cima Cerchiara (717 m), la seconda vetta del monte, dove sono stati ritrovati i resti di antiche costruzioni etrusche e di castellieri preistorici dell’età del Bronzo, eretti a scopo difensivo e religioso. Si può riscendere ai poderi Galera e alla strada che conduce a Montecorona, con un sentiero diverso (170b), imboccando oltre la croce a destra una ripidissima discesa che termina in prossimità di un casolare da poco restaurato. Se invece si vuole proseguire ancora, il sentiero 170a scavalla tutta la cima, scendendo sul lato opposto al borgo di monte Acuto (518 m). Qui si ritrova una piccola strada, che si segue per qualche chilometro in discesa, in direzione Umbertide. Un bivio difficile da individuare (il meno segnalato di tutto il percorso, 167a e poi 168), porta a svoltare a destra su una strada sterrata, che taglia le colline verso il Tevere e scende sino ad una strada parallela al fiume. La badia di Montecorona sorge a circa un chilometro sulla destra.




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