Articolo vincitore

TESTATA: Bell'Italia 

DATA DI PUBBLICAZIONE: GENNAIO 2012

Annientarli, sotterrarli, rinchiuderli sotto i bastioni di una gigantesca fortezza: l’ira di Paolo III contro i Baglioni, signori di Perugia, è un fiume in piena che travolge gli argini quando nel 1537 viene ucciso da mano ignota – forse armata da Ridolfo Baglioni – il legato pontificio. L’autonomia perugina nel cuore dello Stato della Chiesa è un’anomalia da estirpare alla radice. Nel 1540 la tenaglia del papa si stringe, fino alla bolla che impone l’acquisto del sale dalle saline pontificie. Il prezzo rincara a sei quattrini la libbra, contro i tre quattrini del sale senese; nel borgo si resiste sfornando il pane «sciapo» (insipido), una tradizione anche oggi. Paolo III risponde scatenando la guerra del Sale, vinta in pochi mesi dalle truppe pontificie guidate da Pierluigi Farnese, che entrano in città il 5 giugno. Per ammonire, il padre eterno ha i tuoni/Io suo vicario avrò l’artiglieria: così Carducci metterà in versi, ne Il canto dell’amore, tanta determinazione.  Dopo la sconfitta tocca ai perugini smantellare un intero settore della loro città sul colle Landone, là dove il papa vuole erigere la nuova fortezza «ad uso interno», cane da guardia contro la cittadinanza più che contro nemici esterni. Sopra i solai asportati, le mura divelte, le torri mozzate del quartiere dei Baglioni l’architetto Antonio da Sangallo il Giovane progetta un palazzo fortificato, che doveva integrare in una cittadella gli edifici preesistenti. Ma il papa vuole di più, pretende una vera fortezza quadrangolare, munita di bastioni e collegata con un lungo «corridore» a una «tenaglia» più a valle. Chi sale in auto lungo viale Indipendenza lambisce ancora i pochi tratti di mura a scarpa rimasti, il bastione di levante e l’antica porta Marzia, e può provare a immaginare sui fianchi del colle la gigantesca mole della rocca co’ baluardi lunghi e i sproni a sghembo, per tornare a Carducci.  

 Oggi una scala mobile scende nel passato Nei sotterranei di questa Rocca Paolina, abbattuta dopo l’annessione al Regno d’Italia e riaperta nel 1965, sale oggi l’ultimo tratto del percorso meccanizzato che da piazza dei Partigiani conduce a piazza Italia. E se dalle ceneri dei casamenti dei Baglioni è nata la Rocca, dalle ceneri della Rocca è rinato uno straordinario spaccato della Perugia medievale, rimasto a invecchiare per secoli nel sottosuolo come un vino generoso, sotto buie volte di mattoni. Da quando, tra il 1980 e il 1983, i sotterranei della fortezza sono diventati agibili, grazie al sistema di scale mobili, un intrico di strade duecentesche dove si affacciano case in pietra calcarea è patrimonio di centinaia di perugini che raggiungono il centro storico, superando 50 metri di dislivello.  Le volte del ‘500 chiudono strade di mattoni Il colpo d’occhio, in cima alla scala mobile che approda in via Bagliona, inganna il passante distratto, che scambia per cunicoli quelle che un tempo erano vie e piazze di nobili palazzi e botteghe, inondate di luce. Dal Trivio, vicino a Il Grande Nero (1980) di Alberto Burri, la strada conduce in salita verso l’approdo in piazza Italia. Sotto il palazzo della Provincia (1870) ha trovato posto il Cerp (Centro Espositivo della Rocca Paolina), che ospita convegni e mostre temporanee, in un dedalo di sale e corridoi. In discesa, camminando sul fondo stradale originale, elegantemente mattonato, il tracciato approda a porta Marzia, seguendo il bagliore di luce in lontananza. Affianca il tragitto della scala mobile, e completa il Trivio, la via del Soccorso, verso la porta di San Vito. Qua e là si aprono anfratti laterali, piazzette e altre invitanti divagazioni rispetto al percorso principale. Le più rilevanti sono via dei Sellari, con il triplice ingresso al casamento di Braccio e Ridolfo Baglioni, e il sistema delle sale delle Cannoniere, dove il fuoco dell’artigliera doveva proteggere il corridore della rocca. Colpi non ne partirono mai e il botto più grosso lo fece secoli dopo Joseph Beuys (1921-86), artista concettuale tedesco che in una memorabile conferenza tenuta il 3 aprile 1980 disegnò con il gesso su sei preziose lavagne il suo credo artistico.  Si esce alla scoperto al varco di porta Marzia. La posizione originale della porta etrusca era arretrata di qualche metro rispetto all’uscita attuale, e ancora si ammirano i poderosi blocchi in travertino utilizzati nel III secolo avanti Cristo. Il Sangallo, deciso ad opporsi almeno in parte alla furia demolitrice del papa, riuscì a salvarne l’arco, rimurandolo sul bastione di levante. Un’opera di geniale intarsio architettonico, un intelligente riutilizzo simbolo di tutta la vicenda della Paolina, fatta, disfatta e reinventata nei secoli.  

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