TESTATA: Condé Nast Traveller

DATA DI PUBBLICAZIONE: maggio 2011

Narni è uno sperone di roccia sulla Storia. Ma per quel che mi riguarda anche sui weekend: 80 chilometri a nord di Roma, un’ora di auto, cinquanta minuti di treno. Un crocevia verde che dalle valli del Tevere e del Nera esce dal Medioevo e dagli inferni del Raccordo Anulare, transita sotto la lunga cattedrale del Monte Soratte, corre verso le pietre scure di Magliano Sabina e le colline di Otricoli, introduce al silenzio ascetico dell’Appennino, delle abbazie benedettine e francescane, apparecchia piccoli fuochi nelle trattorie con il pergolato e il cinghiale. Come tutta la verde Umbria, attira un turismo leggero che si disperde lungo strade a tornanti, boschi, torrenti, borghi, e naturalmente le case isolate – con la tettoia, i cespugli di lavanda, la parabola, le connessioni wireless – dei molti espatriati dalle furenti città.

Narni è un portale del tempo. Accoglie noi viaggiatori con le geometrie pompose dei palazzi comunali di Piazza dei Priori, la loggia, la torre civica, gli stendardi delle contrade. Ma anche con la quotidianità della vita che non corre mai, i bar con i tavolini, l’edicola, la fontana, l’aperitivo e la trascurabile iattura dei piccioni.

Narni è penombra e luce. Come gran parte dei paesi umbri ha una pulizia architettonica invidiabile. E poi contiene la sorpresa di un suo corrispettivo sotterraneo: gallerie, cisterne, antiche vie di fuga che sono la mappa rovesciata del borgo, le radici del suo lontanissimo passato. Percorsi  che conducono ad altri secoli. Agli assedi dei Lanzichenecchi, alla dominazione pontificia. Compreso un tribunale dell’Inquisizione, scoperto sotto alla chiesa di San Domenico. Con una stanza per gli interrogatori e la tortura. E una straordinaria cella narrativa interamente coperta  di scritte, segni alchemici, simboli massonici, incisi dagli antichi detenuti a tramandare il loro nome, la loro sofferenza, tutti pazientemente tradotti, in questi anni, da Roberto Nini, appassionato di enigmi e di speleologia urbana. Narni è la sorpresa del Museo Eroli dove, accanto alle tavole di Benozzo Gozzoli, respira l’Annunciazione del Ghirlandaio, una delle più belle pale del Quattrocento, che è pura scenografia in oro e rosso con angeli musicanti, raggi di sole, e una Vergine con viso contadino che si inginocchia davanti alla sproporzione del suo destino.

I mesi più belli per visitare Narni sono maggio e giugno, cielo terso e campi fioriti.

Oppure settembre e l’autunno, quando tutti i colori del bosco virano tra il giallo e il rosso. Certo lì intorno ci sono i fasti turistici di Assisi, Spoleto, Todi, Orvieto, Perugia, con i loro festival, le loro cattedrali, i ristoranti segnalati dalle guide americane, gli hotel di charme. O la celebrità internazionale della cascata delle Marmore, 165 metri di salto, la dedica romantica di Lord Byron, la Balconata degli innamorati, per condividere i sospiri, il turbamento e le secchiate d’acqua. Ma è nella trama dei piccoli paesi come Calvi, Borgheria, San Gemini, che l’Umbria costruisce il suo fascino segreto, la sua staticità eccentrica come certe fortezze medioevali che ancora presidiano i suoi passi e che conducono all’Adriatico. Il bello di girarla scegliendo itinerari anche all’ultimo momento, è nella continua scoperta di luoghi inaspettati. Come il piccolo lago di Piediluco che è un vero giocattolo d’acqua, buono per il canottaggio, la vela, il picnic. Dove una notte all’anno, durante il solstizio d’estate, barche illuminate da candele e fuochi raccontano l’antica festa delle acque. Le ore che mi piacciono di più, a inizio estate, sono quelle che anticipano la sera, quando il sole si distende orizzontale sui campi di grano, il cielo diventa una trama di rondini.

Le piazze dei paesi si riempiono. Passano le ultime corriere. E viene il tempo di imboccare la Tiberina, direzione Terni, viaggiare per una decina di chilometri, raggiungere la frazione di Taizzano, fermarsi nella trattoria della grande Cristina Pistoni, ordinare faraona, broccoli e Ciliegiolo, che è il vino rosso di questi pendii. Oppure raggiungere Amelia, presidiata da mura che risalgono al IV secolo avanti Cristo e dal magnifico bar pasticceria Girotti, specializzato in fichi secchi con il cacao e le bucce d’arancia. Bere l’aperitivo. Entrare in Amelia da uno dei quattro portali.

Camminare lungo le sue vie medioevali, le piccole piazze con i palazzi rinascimentali. Imboccare il corso che sale fino al Duomo e alla Torre che si affaccia sulla valle incisa tra i monti Amerini, dove corrono strade verso Giove, Penna, Lugnano, Montecastrilli. E a fine passeggiata andarsi a sedere da Anita, il ristorante, ordinare crostini, assaggiare un Montefalco, assorbire il silenzio, e per massima delizia telefonare a una lontanissima Roma che affoga nel traffico e chiedere: “Come va laggiù?”.

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