Una storia misteriosa, che inizia con le crociate e arriva nelle migliori enoteche. Arnaldo Caprai lo portò a New York. Per Iacopo Pambuffetti, erede alla guida della cantina Scacciadiavoli, oggi il Sagrantino è «noto ma non conosciuto»

«Mentre il mondo combatteva, io resistevo. Chiuso in cantina, solo. Senza luce, senza acqua, solo vino e sempre vino». «Ed è uscito quando è finita la guerra?». «No, quando è finito il vino». Per fortuna il giovane Giulio, interpretato da Alberto Sordi nel film “Accadde al penitenziario” di Giorgio Bianchi, non girava dalle parti di Montefalco. Altrimenti, il patrimonio vitivinicolo che cresce attorno alla cosiddetta “Strada del Sagrantino” avrebbe subito un gran danno.

Dalla ringhiera- Scampato il rischio, possiamo concentrarci sull’importanza storica ed economica di un vino tanto unico quanto dibattuto. «Il Sagrantino non è mai uscito dalle mura di Montefalco» sentiamo ripetere con orgoglio dai viticoltori che incontriamo lungo il nostro itinerario. Il borgo, arroccato a quasi 500 metri sopra il livello del mare, sorveglia campi e vigneti. Il suo territorio, chiamato la “Ringhiera dell’Umbria”, abbraccia altri quattro gioielli medievali: Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi e Giano dell’Umbria. Sono i fratelli di Montefalco, uniti dall’amore per l’uva nera. Occorre visitarli tutti per comprendere l’unicità di questo vino.

Padre ignoto- Per quanto ormai conosciuto anche fuori dai confini umbri e italiani, dal punto di vista genetico il Sagrantino di Montefalco Docg non ha uguali. Nessuno è ancora riuscito a stabilire la familiarità con altre uve. D’altronde, il “vino più tannico del mondo” ha una storia affascinante. Portato dall’Asia Minore nel ‘500 dai monaci bizantini di ritorno dalle crociate, per secoli è stato custodito nei conventi. I frati lo usavano per la messa e il suo nome viene proprio da questo antico uso liturgico. Da oltre 400 anni viene coltivato solo nei 670 ettari che circondano il piccolo comune umbro e viene imbottigliato in appena 89 cantine. Perché il Sagrantino è un vino speciale, che conserva un orgoglio umbro commovente.


Dati alla mano- Un buon modo per comprendere questo fenomeno è affidarsi ai numeri. Per farlo – e prima di girare per cantine, così da non compromettere la nostra lucidità – incontriamo Daniela Settimi, vicesindaca di Montefalco. Varcate le mura della “Città del vino”, ci guida tra i vicoli del borgo, fino alla terrazza panoramica che si affaccia sulla valle spoletina. Alla luce del tramonto, ci illustra dati e tendenze. Nonostante il Covid, «nel 2020 dalle cantine sono uscite oltre 4 milioni di bottiglie», spiega Settimi. Il turismo non è stato del tutto bloccato dal virus: il Consorzio Tutela Vini Montefalco non ha ancora i dati ufficiali, ma la prima tendenza elaborata per il 2021 è confortante. Lo confermano gli stessi viticoltori locali con un sorriso.


Tra passato e presente. «Non abbiamo di che lamentarci», premette Filippo Antonelli, quarta generazione alla guida della Cantina Antonelli San Marco. Comprata dal bisnonno nel 1883, l'azienda produce 400 mila bottiglie l'anno. Le vende agli stranieri, certo, ma anche a tanti italiani attratti dall'offerta enologica locale: «I numeri sono stati simili al periodo precedente alla pandemia - spiega - facciamo bene in Umbria, dove battiamo i vini toscani. Ma fuori è ancora una sfida aperta». Guai adagiarsi sugli allori!

Mentre ci mostra con orgoglio la sua tenuta, Antonelli snocciola dettagli sul Sagrantino. «Tutto è cambiato nel 1979 - dice - quando ha ottenuto la certificazione di origine controllata. Poi nel ’90 è diventato il dodicesimo vino Docg d’Italia e oggi è la bandiera dei vitigni autoctoni». E al momento di salutarci rilancia il suo impegno: «L'unico vino di Montefalco è e resterà il Sagrantino, ma dobbiamo puntare di più sull'export».


American dream. Quando si parla di questo vino la mente va ad Arnaldo Caprai, storico imprenditore e leader nella produzione di Sagrantino di Montefalco. Oggi la cantina è in mano al figlio Marco, ma senza il coraggio del fondatore il "vino dei francescani" non sarebbe mai arrivato sulle tavole di New York. Lo sa bene Iacopo Pambuffetti, erede della famiglia proprietaria della cantina Scacciadiavoli. All’interno del grande casale comprato dal bisnonno Amilcare, si fa strada tra le botti. «La nostra cantina è la più antica della zona – precisa –, costruita nel 1884 dal principe Ugo Boncompagni Ludovisi». La struttura è ancora di tipo "bordolese", come progettata dal nobile ingegnere romano, che all’epoca produceva un milione di bottiglie l’anno. Nel 2021 la famiglia Pambuffetti ha messo sul mercato 250 mila bottiglie di certificata qualità. «Il Sagrantino è un vino noto, ma non conosciuto», conclude Iacopo. Servono quindi soluzioni innovative per sfondare oltre confine.



Rossobastardo, anima gentile. Non ha sangue blu ma è ingegnere come fu Ludovisi anche Luciano Cesari, fondatore della Cantina Signae. Nato a Bastardo, vent'anni fa era al culmine di una carriera nel mondo dell’energia quando decise di comprare assieme alla moglie e al fratello terreno e vigne per produrre un vino innovativo con meno solfiti. Per farlo ha puntato sulle sue conoscenze tecnico-scientifiche sfruttando la criomacerazione, la micro-ossigenazione e addirittura i campi elettromagnetici. Oggi i volti giovani dell'azienda sono le figlie Chiara e Alice. «Nostro padre voleva fare un vino diverso, che rispecchiasse la filosofia del popolo umbro, mite e accogliente - ci raccontano al telefono - per questo Signae è diventata un vero laboratorio». Oltre all'ormai famoso vino "Rossobastardo", nella cantina ai piedi di Montefalco viene imbottigliato sia un Sagrantino classico sia una versione più «accogliente», il "Benozzo Igt". Ancora un'opera ingegneristica che ha conquistato i 5 grappoli della guida "Bibenda". «È stato difficile innovare in un settore così tradizionalista - ammettono - venendo da un altro ambito siamo stati più liberi e abbiamo dato vita a un vino più sano e più gentile».

Finito il nostro viaggio e pensando a ognuno dei produttori incontrati, anche io, omonimo del Giulio interpretato da Sordi, levo un calice di Sagrantino per un brindisi ideale al futuro di questa terra e al successo del suo vino.



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