La torre scruta con gli occhi delle feritoie la stretta valle circostante incisa dal torrente Saonda. In basso, un’antica via immersa in un bosco millenario mostra le pietre di un vecchio selciato. Il silenzio è rotto da cinguettii lontani, che si perdono nella vallata. All’improvviso, il portone di legno posto al centro della cinta muraria in pietra arenaria si schiude con uno scricchiolio.


«Benvenuti nel castello di Colmollaro» sorride sornione Euro Menichetti, custode del solitario fortilizio, guardandosi intorno con l’eleganza di un feudatario per accertarsi che tutto sia in ordine e che non manchi uno spillo di quel pezzo di storia, di proprietà privata, in sua custodia. Siamo in Umbria in provincia di Perugia a sudest di Gubbio, nei pressi della frazione Branca Calvana e il castello – il cui nucleo originario è già documentato dal 1191 – nasconde un mistero. «Secondo gli annali – racconta Euro – il Sommo poeta, scrisse qui, intorno al 1318, una parte dell’XI canto del Paradiso, quello dedicato a San Francesco”. Si riferisce a quella terzina che recita: “Intra Tupino e l’acqua che discende / del colle eletto dal beato Ubaldo, / fertile costa d’alto monte pende […]


È una descrizione molto fedele di questi luoghi, che Dante avrebbe potuto vedere dalla torre in vista della vallata o percorrendo il territorio bagnato dal Saonda, che a un certo punto del suo viaggio si butta nel Chiascio, il fiume che nasce dai monti di Gubbio (“l’acqua che discende /del colle”) per poi affluire nel Tevere. Non ci sono notizie certe sulla sua presenza al castello. È storia che il presidio militare facesse parte del feudo di una nobile famiglia eugubina, i Raffaelli. Si dice poi che uno dei suoi componenti, il conte Bosone Novello, ai tempi in cui era podestà di Arezzo (1315 e 1316-17) stringesse amicizia con l’Alighieri, esiliato in città, e in seguito lo ospitasse nella sua fortezza. I due avevano lo stesso orientamento politico.

Certo, immaginare il Sommo poeta, alloggiato nella torre quadrangolare di Colmollaro, prendere appunti guardando l’orizzonte di Gubbio, rende più suggestiva la visita al castello, che oltre a un ampio cortile e al maschio composto da due piani, comprende anche una minuscola chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, caro alla cultura longobarda. E sebbene i primi documenti sul castello vero e proprio risalgano alla seconda metà del XIV secolo – il che pone dubbi sulla presenza di Dante nel maniero prima del 1313 – piace pensare che tra queste mura ancora poderose fu scritta una terzina meravigliosa, immortale, di cui l’Umbria può andare fiera.


Gli amanti del Sommo poeta - e del cuore verde d’Italia – la possono ammirare e leggere a Foligno, a circa 50 chilometri da Colmollaro, nel Museo della Stampa, dove è esposta con una parte dell’XI canto del Paradiso. Stampate su un unico foglio e blindate sotto una teca dotata di allarme, le dieci terzine rappresentano una rarità: sono ciò che in città rimane, in originale, dell’Editio princeps, la prima edizione a stampa della Divina Commedia, che qui l’11 aprile 1472 fu realizzata, per la prima volta in Italia e nel mondo, con i caratteri mobili. Accanto, un busto in bronzo del “Ghibellin fuggiasco” dello scultore Sergio Marini indica con orgoglio le sue pagine in formato “industriale”.

«In quegli anni si assistette a una vera e propria rivoluzione culturale – spiega Rita Fanelli, componente del Comitato dantesco per la valorizzazione e per la promozione della Prima Edizione a Stampa della Divina Commedia. – Nel momento giusto, e nel posto giusto, si ritrovarono tutti gli elementi per la miscela esplosiva: il prototipografo di Magonza Johannes Numeister, allievo di Gutenberg, che era alla ricerca di finanziatori per la nuova rivoluzionaria arte dei caratteri mobili si trovava a Foligno come copista di manoscritti; gli imprenditori e mecenati locali Mariotto ed Emiliano Orfini (quest’ultimo orafo e zecchiere pontificio); il notaio di Trevi Evangelista Angelini, appassionato di libri e di quella nuova tecnica arrivata dal Nord».

Il formidabile terzetto – il tecnico, il mecenate, il giurista – aprì una tra le prime tipografie in Italia dopo quelle di Roma, Venezia e Milano, i cui locali si trovavano dove oggi ha sede il Museo della Stampa, e dopo aver messo sotto torchio (tipografico) il De bello Gallico adversus Gothos di Leonardo Bruni e le Epistolae ad familiares di Cicerone, decise di stampare fra le 200 e le 300 copie (non si ha certezza del numero esatto) della Divina Commedia. Erano passati una ventina d’anni dalla monumentale invenzione di Gutenberg. Gli affari però andarono male, il giovane stampatore tedesco scappò da Foligno pieno di debiti e l’impresa si sciolse.


«Il giacimento di libri – continua Rita Fanelli – nel tempo si disperse tra soggetti pubblici e privati, in Italia e all’estero». Oggi si può parlare di giacimento anche per il patrimonio della Biblioteca comunale di Foligno e del suo centro di documentazione sul Sommo poeta che conserva, grazie anche a donazioni di privati e istituzioni, circa 200 volumi tra cui spiccano l’incunabolo del 1493, considerato la più bella tra le edizioni dantesche realizzate a Venezia nel XV secolo, e il Dante historiato da Federigo Zuccaro, edizione integrale in facsimile del volume manoscritto, tirato nel 1586 in 699 copie con 90 composizioni a matita e penna, ritenuto “la più interessante illustrazione dantesca mai prodotta in Italia”.


«Quanto all’Editio princeps – riprende la studiosa – si sa che almeno 32 copie sono in giro per il mondo tra biblioteche e accademie pubbliche (13 in Italia), mentre si calcola che siano 27 i volumi di proprietà privata. Uno di questi rimane ancora, a distanza di secoli, nella disponibilità della famiglia Orfini, che non ha mai avuto in animo di consegnarla alla comunità folignate». Come si spiega allora quella pagina solitaria, blindata in una teca con la didascalia che recita “Dono della famiglia Orfini”? Qui si apre un altro mistero, come se quello di Colmollaro, come nebbia sottile, si fosse spostato fra i palazzi del centro folignate.


Un bel giorno dei primi del Novecento – spiega Rita Fanelli – il sacerdote e storico locale Michele Faloci Pulignani si recò in visita agli Orfini e, in un momento di disattenzione dei padroni di casa, strappò una pagina del prezioso volume, la nascose in tasca e subito dopo la portò nella biblioteca civica. Il suo intento era di scendere a patti con i proprietari affinché si decidessero a cedere quel bene, appartenente alla storia della comunità e del territorio». Ancora oggi il solitario foglio attende che le restanti parti si ricongiungano ad esso. Potrà mai accadere questa réunion?

«L’assessore alla cultura del Comune – spiega Cristiana Brunelli, coordinatrice del Comitato dantesco che ogni anno, di solito in aprile (ma quest’anno gli eventi si protrarranno fino a settembre) organizza giornate di studi, convegni e seminari sul Sommo Poeta e sulla sua opera – sta cercando di convincere i proprietari con una formula che possa soddisfare l’interesse di tutti».


«Un’altra possibilità – aggiunge Rita Fanelli – è quella di partecipare alle aste in cui ogni tanto si disvela un volume di quella prima edizione. Nel Duemila, per esempio, fummo informati che ne sarebbe stato messo in vendita uno, a Parigi. Il Comune allora si precipitò mettendo a disposizione circa ottocento milioni di lire per il suo acquisto, ma poi serpeggiò la voce che il fondatore di Microsoft, Bill Gates, avrebbe messo sul piatto una somma eccezionale. E così il Comune si diede perdente in partenza e uscì dalla trattativa. In realtà non fu il miliardario americano ad acquistare il libro, ma un italiano, forse umbro. Noi infatti pensiamo che il volume possa essere nella regione».

Sarebbe un segno di grande spirito civico, proprio nel corso di quest’anno dedicato a Dante, organizzare a Foligno un gigantesco crowdfunding: se tutti i suoi abitanti mettessero 19 euro a testa (sono oltre 55 mila) si potrebbe facilmente arrivare al valore attuale di uno dei volumi stampati nel 1472 per dare completezza alla raccolta del museo e quell’unico, solitario foglio e celebrare con tutti gli onori questa storica data di cui nel 2022 ricorrono i 550 anni. «Sapete – conclude Euro Menichetti – che al castello di Colmollaro sono state girate alcune scene del film di Pupi Avati I cavalieri che fecero l’impresa? Se scegliamo di ampliare l’orizzonte, vediamo ancora oggi i giovani di Magonza e gli imprenditori folignati inseguire i loro sogni di successo scritti sulle pagine eterne e sempre giovani del Sommo Poeta, dritto sulla torre a inseguire i valori della libertà e della verità». Sono loro, soltanto loro, che in quei secoli “fecero l’impresa”.




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