Morbidi fiori di rosa canina si arrampicano fino alle mura dei dormitori e lei li sfiora con le minuscole dita e il sorriso più grande del cielo: quei fiori annunciano l’arrivo della bella stagione. Dalla piccola finestra della sua cella gli occhi curiosi corrono oltre la cortina di ulivi e vitigni che coprono le colline circostanti e saltano come lepri tra lecci e corbezzoli. Il suo nome è Thadea e vive da che ha memoria in un convento che le religiose chiamano S. Lorenzo.

Poche le ore di aria che le sono concesse per passeggiare con la sua nutrice verso il borgo di Collazzone, non lontano da Todi, e le sue colline, trasformate alla fine della primavera in un tappeto di lucciole d’oro. Poche le visite che le riserva sua madre, ma quando la vede è il paradiso.

Un giorno, con grande sorpresa sua e del contado, l’acciottolato trema: sono stranieri a cavallo che le ordinano di partire per un lungo viaggio perché suo padre, che l’aspetta a Bologna, vuole conoscerla. Corre l’anno 1530, Thadea è solo una bimbetta di sette anni ignara del suo albero genealogico e del suo sangue blu. Il genitore è nientemeno che Carlo V d’Asburgo, figlio di Filippo il Bello e Giovanna la Pazza, sovrano di un impero immenso su cui, come egli stesso ebbe a dire, «non tramonta mai il sole»; lei, dolce fanciulla dallo sguardo malinconico, è sua figlia naturale, concepita dall’incontro avvenuto a Brussel (oggi Bruxelles) fra il giovane monarca e “la bella Perugina”, l’avvenente Orsolina della Penna, appartenente alla nobile famiglia perugina degli Arcipreti della Penna. La bimba parte e poi ritorna. Rimarrà altro tempo in quel ventre protettivo fatto di mura e rintocchi. Socchiudendo gli occhi sembra di vederla giocare tra i prati intorno al convento e ascoltare i suoi lamenti nel mentre la portano via da quella luce e da quella natura verso Montefalco, dove l’aspetta un giovane rampollo che dovrà sposare per ragioni di interesse. Thadea ha solo 13 anni e a S. Lorenzo non tornerà più.

Il seguito di questa storia – riemersa qualche mese fa dai fondali del tempo grazie alle ricerche di Andrea Margaritelli, direttore della Fondazione Guglielmo Giordano di Perugia – è un susseguirsi di colpi di scena che si possono leggere nel suo libro Thadea, la figlia segreta di Carlo V, edito dalla stessa fondazione (per info, thadea.org). Del resto il monastero di S. Lorenzo è di per sé il luogo più emozionante del borgo umbro, in provincia di Perugia, che si eleva a 469 metri di altitudine sulla media valle del Tevere, arroccato in quelle mura di medievale memoria che ancora oggi gli conferiscono slancio ed eleganza.

Nel possente monumento, che nasce come abbazia benedettina ed è citato per la prima volta nelle cronache nel 1277, visse la famiglia di un beato, Simone da Collazzone, che fulminato da Francesco d’Assisi e dalla sua Regola, abbandonò le ricchezze familiari indossando sin dalla prima adolescenza, nel 1221, l’abito dei frati minori mettendosi in cammino per il mondo e che nel 1235 fu testimone dell’atto con cui il vescovo Bonifacio donò il monastero e altri beni ai frati Minori perché vi fondassero un convento femminile. Le sue spoglie riposano a Spoleto, dove morì nel 1250, nella chiesa di S. Ansano, ma potrebbero in futuro essere traslate a Collazzone, arricchendolo maggiormente di storia e di valori. E sempre a S. Lorenzo, dove continuano ad arrampicarsi rose canine ed edere, si ritirò un altro religioso considerato tra i più importanti poeti italiani del medioevo, quel Jacopone da Todi che scrisse le Laudi, tra cui il celebre Pianto della Madonna, e componimenti latini, il più toccante lo Stabat Mater. Qui, nella luce crepuscolare della cripta romanica della chiesa, dove trovavano conforto i pensieri e le preghiere delle damianite francescane, Jacopone chiuse per sempre gli occhi la notte di Natale del 1306.

In paese, distante appena un paio di curve dal monastero, ormai da oltre duecento anni di proprietà privata, la vita scorre lenta, come quella degli altri 5.584 borghi d’Italia fino ai cinquemila abitanti cui è appena stata dedicata una legge per sostenere le comunità che vi abitano e valorizzare il loro patrimonio storico e artistico (ne abbiamo parlato anche su Touring di dicembre 2017, a pag. 8). Collazzone ha un centro storico delizioso ma sempre più silenzioso – meno di 200 abitanti, circa tremila in  tutto il territorio comunale – che tra vicoli simmetrici, mura, spalti, terrapieni e torrioni, ricorda il castello da cui tutto è cominciato: secondo le fonti più accreditate risulta che Azzone, o Attone, della famiglia degli Atti, intorno al VIII-IX secolo, lo edificò su commissione dei duchi di Spoleto, anche per sfruttare la posizione strategica sulla vallata attraversata dal Tevere.

Due bar, un piccolo supermercato, una residenza per anziani, un ufficio postale e una macelleria che produce divine salsicce secondo una ricetta ultracentenaria.
Questo il fragile tessuto economico del borgo, che meriterebbe maggiore impegno da parte delle istituzioni locali, solo per la storia che continua a raccontare e per la bellezza del paesaggio circostante che si srotola come un’enorme tela dipinta, con i colori della natura che vivono di vita propria. Vivide e calde tinte come quelle della Madonna col Bambino, splendida statua lignea policroma attribuita a un intarsiatore umbro della seconda metà del XIII secolo, conservata nella chiesa parrocchiale di S. Lorenzo. Prima del restauro risalente a più di una decina di anni fa, la scultura appariva annerita dal tempo e i collazzonesi cominciarono a chiamarla la Madonna Nera.

E ancora oggi la chiamano così, per affetto, nonostante la riscoperta dei suoi colori originari: l’azzurro, il verde, il rosa e il rosso. Altri pallidi colori trapelano dall’intonaco delle pareti della chiesa di S. Michele Arcangelo, risalente al 1370 e annessa al convento delle suore damianite – che vi si erano trasferite in quegli anni abbandonando S. Lorenzo per ragioni di sicurezza – rivelando la grande ricchezza decorativa degli affreschi realizzati tra il XIV e il XVI secolo e che sarebbe un sogno poter restaurare.

La bellezza e il misticismo del luogo sono molto apprezzati dai turisti stranieri, in particolare americani e olandesi, che negli anni hanno comprato case e appezzamenti di terra intorno al borgo, tra cui quella dell’indimenticabile attore napoletano Massimo Troisi, che purtroppo non fece in tempo ad abitarla. Oggi la “sua” residenza, immersa tra alberi di ciliegio, vigne e ulivi, è un’azienda agricola. Gli abitanti del borgo, per lo più anziani, sembrano invece cristallizzati in attesa di un segnale o di un cambiamento.

Qualcuno però comincia a capire che Collazzone è un bene di comunità, e che, come tanti altri borghi che rischiano di scomparire, può continuare a esistere e generare valore e benessere soltanto se tutti quelli che sono interessati, gli abitanti in primis, se ne occupano. Da un anno è nata grazie a un gruppo di professionisti del paese, la Fondazione Nice to meet you, con lo scopo di promuovere un nuovo modello socio-economico in contesti non metropolitani finalizzato a sostenere le comunità locali. C’è pure un giovane sacerdote che ha ideato un coro interparrocchiale per unire e impegnare le varie anime del territorio, e dopo anni di oblio, è tornata in pista la pro loco con forze e idee nuove. Un’unione di anime, competenze e passioni che potrebbe pretendere da chi di dovere l’abbattimento di scheletri di abitazioni mai finite, da anni piantate nei pressi dell’entrata del paese a deturpare parte di quel paesaggio che rende speciale questo borgo.

Sarà l’anno del risveglio di Collazzone? Anche Thadea, sfortunata  progenie di cotanto imperatore, che adorava la luce e i colori di questa parte di mondo, potrà fare la sua parte.


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