Pellegrini, famiglie, gruppi di ragazzi, viaggiatori: c’è chi fugge dal traffico, dalla frenesia della vita in città e chi cerca qualcosa, magari il silenzio, magari sé stesso. Arrivare a piedi alla Romita di Cesi – 800 metri sul livello del mare sul Monte di Torre Maggiore nel Comune di Terni – è già di per sé un’esperienza mistica. La macchina deve inerpicarsi su una ripida strada sterrata, poi a piedi per un quarto d’ora su un sentiero in mezzo ai boschi.

Il paesaggio non è tanto diverso da quello visto da San Francesco nel 1216. Fra’ Bernardino Greco sapeva che lassù per secoli c’era stato un convento di francescani, ma quando arrivò 27 anni fa trovò solo un rudere divorato dal bosco. «Ho sentito una chiamata provenire da quelle pietre», racconta. E, d’intesa con i privati che avevano ereditato la proprietà, ha riportato l’eremo al suo antico splendore, trasformandolo in un punto di sosta.

Sul chiostro affacciano la cappella, la chiesa trecentesca, la biblioteca, e il dormitorio. In un’altra ala c’è la grande sala del refettorio. Le celle della Romita possono ospitare fino a cinquanta persone, ogni anno sono in 3-4 mila a trascorrere qui almeno una notte, di cui circa 700 pellegrini.

Numeri eccezionali, considerata la difficoltà di raggiungere questo luogo dell’anima, la mancanza di acqua corrente e riscaldamento (l’elettricità arriva dai pannelli solari), motivo per cui l’attività ‘ricettiva’ della Romita si concentra tra marzo e novembre. D’inverno Fra’ Bernardino vive completamente solo – «e altrimenti che eremita sarei?!», commenta – in compagnia di quattro pastori maremmani, quattro gatti e otto galline. «Questo non è un albergo, non esistono clienti da servire, chi arriva diventa parte di una comunità», spiega l’ex francescano, espulso dal suo ordine religioso perché a 79 anni si è rifiutato di trasferirsi in un altro convento.

Non si paga nulla per il soggiorno, chi vuole lascia un obolo nella cassetta delle offerte in chiesa. Ma bisogna dare una mano: «La giornata comincia col sole, d’estate intorno alle sei – spiega – si fa colazione tutti insieme ma restando in silenzio perché bisogna elaborare i sogni, altrimenti uno se li dimentica».

Poi ci si divide il lavoro, tra l’orto, la raccolta della legna per il camino e dei frutti selvatici o piccole opere di manutenzione della struttura. Dopo pranzo, il pomeriggio è libero e può essere
utilizzato per leggere in biblioteca oppure per le escursioni. Prima dei tre pasti, in chiesa ci sono dei brevi momenti di riflessione, ma Fra’ Bernardino precisa: «Io cerco di proporre, non di imporre. La partecipazione non è obbligatoria, né domando a chi arriva se è cattolico o ateo». Alla Romita è nato qualche amore benedetto all’altare da Fra Bernardino; i ritorni, anche per lunghi periodi per dargli una mano come volontari, sono abbastanza frequenti.

Non solo non vuole lasciare, ma questo frate-filosofo vuole rendere quello della Romita, un modello: «Ci sono tanti ruderi da sistemare, per esempio un ex monastero a cento metri dalla E45 – conclude – ecco, vista la posizione, io vorrei farne una stazione di servizio dello spirito». 


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