Davvero ‘non di solo pane vive l’uomo’, ma anche di bellezza, di arte, di cose grandi e d’avventura che rendono sapido e aromatico il nostro passaggio su questa terra. La storia assolve tutti, comprende tutti, ma non vuole dimenticare e non si accontenta delle briciole. Sempre ripropone al cuore dell’uomo, come uno specchio, lo stesso suo cuore, ma presentandolo con tutte le facce, come un quadro di Picasso. 

Non molto tempo fa sono stato invitato a pranzo da un amico, in occasione del suo compleanno, in un ristorante al centro di Perugia, in corso Garibaldi. Lui, giovane normanno originario della terra di Goethe e di Vettel, è amante della nostra cultura – anche culinaria. Quale location migliore, quindi, per gustare insieme in allegra compagnia gustose vivande, quali ‘fagioli e cotiche’ o ‘quadrucci con ceci’. Cucina povera insomma, rurale, ma oramai elevata agli onori dei banchi di chef pluristellati e decantata dai critici. 

Eravamo una combriccola di sei persone, tra cui un amico del festeggiato laureato in medicina (specializzato in medicina preventiva). 

Scodellate le pirofile dei primi, il garçon del locale pone sul tavolo i consueti cestini del pane. Era fumante. Lo avevano appena tolto dal forno, biondo di frumento, friabile, fragrante. Non era quello confezionato delle mense. Era pane ‘verace’, parafrasando Depardieu. Ne prendiamo un po’, in attesa della seconda portata. Il mio amico ha un attimo di sussulto e ci guarda stupito: «Ma raga, non vi sembra salato? Che strano, è la prima volta che mi capita a Perugia. È buono, non mi dispiace, solo che non me lo aspettavo… » 

«Ah sì, è vero, ci ero già stato, non me lo ricordavo. Ma qui hanno una ricetta speciale», fa uno dei commensali. 

«Così anche tu sai quanto sa di sale lo pane altrui», se ne esce un altro in un guizzo poetico citando il Sommo Poeta. 

«Ma voi la sapete l’origine di questa vostra tradizione?» incalza il dottore con il suo accento pugliese alla Lino Banfi. 

«Sì! È perché era stata imposta una tassa sul sale e i perugini si sono ribellati e hanno…» 

Mi inizio a sentire strano. Saranno stati i legumi, sarà stato quel bicchiere di rosso in più che non sono abituato a bere. Perdo il contatto col mondo esterno e sono accecato da un intenso bagliore. Al posto del dottore mi appare un vegliardo avvolto in un’ampia cappa del 16° secolo. La panca in legno del ristorante ora è lo scranno, semplice e solenne, di un banco da lettura. 

«Dove mi trovo? Chi siete voi?» 

«Bona dies figliuolo, qual buon vento! Mi presento: dominus Virgilius Anghela, conosciuto anche come Gilio dai miei sodali. Sono uno simplice letterato e cortigiano de lo Pontifice catholico Paolo III de Farnese, ospite presso la sua roccaforte che è in Perusia. Ero qui allo scriptorio quando sei comparso come un angiolo. D’improvviso». 

Questo posto mi sembra familiare… Ma sì, certo: è sicuramente la Rocca Paolina. Per fortuna avevo letto un libro illustrato, altrimenti, forse, non l’avrei riconosciuta. 

«Piacere buonuomo, sono Edoardo, un giovane studente dell’Università per Stranieri di Perugia. Ero a pranzo con degli amici quando sono capitato qui. Non so bene come sia successo. Però ho una vaga idea di dove siamo e in quale epoca storica del passato ci troviamo…» 

«Precisamente nell’Anno Domini 1543. Domani ci sarà la grande inaugurazione di questa imponente fortezza. Questo è solo il mastio a valle, chiamato la Tenaglia per la sua minacciosa incombenza. Se lo vorrai, dal momento che mi dici di essere mio concittadino, avrò il piacere di accompagnarti per una visita. In fondo non posso stare tutto il giorno a scrutare codici e a scrivere composizioni. Mi prenderò un momento di sano otium.

Ti prego di seguirmi ragazzo…» 

«Oh volentieri! Vi ringrazio per il prezioso tempo che mi dedicate». 

«Bene. Allora devi sapere che questa costruzione, che è stata eretta in soli tre anni a partire dal 1540 per ordine dello papa e su progetto dello suo architetto, si erge sull’antico colle Landone. Questa rocca è una delle più mastodontiche e belle d’Italia. Te lo dice uno che ha percorsa la intera penisola scortando le ambascerie pontificie nei viaggi diplomatici. Nel 1539 il popolo perugino, capeggiato dalle famiglie dei Baglioni e dai Venticinque Difensori della Giustizia, si è ribellato al governo del papa a seguito dell’imposizione di una iniqua tassa sul sale. Questo evento è stato solo il casus belli: il sale, per quanto importante per la nostra vita, non ha certamente il prezzo della pace della nostra città. Ma il popolo non ce la faceva più a reggere, vessato com’era dalle contingenze. La floridità e il lustro che ci rendevano un blasone prezioso agli occhi di signori e pontefici, sono stati corrosi dalle continue insidie politiche interne e dalle incursioni dei capitani di ventura assoldati dalle potenze straniere. Spagnoli di qua, turchi di là e, senza andare troppo lontano, anche il ronzare molesto del Ducato di Urbino. Il governo della città era solo nominalmente affidato alle magistrature locali, che un tempo garantivano la nostra sovranità e autonomia presso gli altri Comuni e Signorie. Ma di fatto eravamo come i polli che hanno ali troppo piccole per volare e un corpo troppo appesantito dagli anni. Così si è ridotto il Grifo che sventolava gagliardo sui nostri vessilli. Il papa e le secolari autorità ecclesiastiche ci hanno coverto colle loro ali, come aguila cogli aguilotti. Ma anche il troppo amore delle madri è nocivo talvolta, quando le fasce sono strette fino ai lividi e il sangue, che le spine almeno farebbero sgorgare, si raggruma e perde di vitalità. Così i fratelli maggiori, gli illustri Baglioni, volevano far presente al figlio legittimo, Pier Luigi Farnese, le istanze degli altri figli dell’unico padre. Ma già nel 4 giugno 1540 il sale lo si dovette versare sulle ferite di questi ultimi e sulle rovine delle loro parti in città. Questa rocca non è costruita in primo luogo con mattoni di cave aliene, ma molto colle pietre antique. Se a Roma avessero fatto l’istesso, più non avremmo l’Anfiteatro Flavio, le rovine romane e gli altri monumenti che destano ammirazione e il ricordo di prodezze e di gloria. L’unica consolazione è che questa opra che vedi non è una vile fortezza come le altre, né è un rattoppo vecchio fatto su una stoffa nuova. Antonio da Sangallo, la mano architettonica del papa, ha cucito in lungo et in largo fortezze, distretti militari e opere religiose. Ha lavorato anche nel cantiere di San Pietro in Roma. Ma qui ha riversato tutta la sua esperienza e maestria, in accordo con l’animo del suo patrono e mecenate che ha collezionato fior fior di artisti e letterati nella sua corte – anche colui che ti parla – più che le femine dei postriboli. È entrato subito in intesa con Antonio perché entrambi sono cultori dell’ideale architettonico del rigore e della perfetta proporzione. L’uno è la mente e l’altro il braccio, ed entrambi sono in accordo. Così già in un anno di lavori, portati avanti anche forzatamente dagli stessi cittadini e confinanti, il nucleo centrale in mattoni rossi dominava sulla città di pietra bianca e travertino. Poi per accelerare i tempi che sembravano troppo lenti, sono subentrati altri architetti, fra cui un certo Galeazzo Alessi. Da qui puoi vedere il borgo di Santa Giuliana. O almeno quel che ne rimane». 

Papa Paolo III

«E il quadrilatero principale? Come ci si arriva?» 

«Risaliremo il declivio grazie ad un lungo corridoio coperto che assomiglia al porticato che collega la Atene bassa alla sua Acropoli. È meglio prendere il percorso più discreto: troppi operai in giro in questi giorni. Meglio non destare sospetti. Quella è la porta di servizio che parte dall’intercapedine della grande scalinata della Tenaglia e giunge ai bassi fondi di palazzo. Questa torcia ci aiuterà a mettere bene i piedi. È appena suonata l’ora di nona, ma i lucernari sono stretti e radi; altrimenti basterebbe avere una scala in legno per irrompere. Al piano superiore i vani sono adattati per ospitare i cannoni e l’artiglieria. Lì l’illuminazione è gestita a regola d’arte, altrimenti basterebbe una scintilla fuori posto per innescare l’esplosione della polvere nera». 

Antonio da Sangallo, architetto

Mentre egli parlava durante la salita, quasi per abitudine, mi sembrava di sentire sotto ai piedi il rullo delle scale mobili. Ma come raccontare a quell’uomo d’altri tempi che di tutta quella struttura sarebbe rimasto ben poco e che sarebbe stato possibile superare cinquanta metri di dislivello quasi senza camminare? Nemmeno io potevo rendermi conto che nell’800, all’ombra delle mura del corridore, avrebbero costruito lo sferisterio per praticare il gioco del pallone, conosciuto anche dal giovane Leopardi tanto da dedicare un canto al suo divo favorito. Finalmente si vedeva la luce di un piccolo ingresso. Ormai potevo ben riconoscere, almeno nei lineamenti principali, la cittadella; quella labirintica città nella città che oggi ospita anche la scultura di Alberto Burri, sale museali, mostre e mercatini e su cui insiste il Palazzo della Provincia. 

«L’intreccio di questi edifici che vedi come una città sotterranea furono le case-torri della famiglia dei Baglioni. Le pareti sono state mozzate nel senso dell’altezza, sono stati tolti i solai e gli infissi; ora sono coperte da un sistema di volte a mattoni che le chiudono al buio privandole della vita. Da questo incrocio, proseguendo a destra, si giunge all’antica Porta Marzia. La sensibilità dell’architetto l’ha preservata. Ha avuto infatti la buona accortezza di consolidare i piedritti, ricomporre l’arco e il fregio. Da lì puoi scorgere anche Assisi. A sinistra invece, alla fine di via Bagliona, c’è Piazza dei Servi. Vi si affacciava l’antica chiesa dei frati Servi di Maria, dove sono stato battezzato e ho ricevuto i sacramenti. Anche questa mi hanno rasa al suolo. Non potrò mai dimenticare quando al sabato intonavamo il ‘Vigilia de Domina’ e la luce del tramonto animava le vetrate e filtrando incontrava le colonne di incenso. Molte confraternite, conventi e anche l’ospedale hanno dovuto trovare una nuova collocazione. In città siamo ancora provati a distanza di anni. E pensare che domani giungerà anche il papa con un manipolo di soldati e col resto della curia…» 

Cupo e intristito, l’anziano letterato prende una pausa. Poi prosegue. «Grazie a una scala a chiocciola arriveremo nel punto più alto. Essere in confidenza col signor Legato ha anche i suoi lati positivi; infatti ho le chiavi di tutte le porte e mi so muovere abbastanza bene in questo luogo, perché non è stato proprio stravolto, e perché ho cognizione anche delle piccole scorciatoie create dalle vecchie porte del morto o dagli altri pertugi nascosti». 

«Quale scala a chiocciola?» 

«Scosta un po’ quell’arazzo del grifone rampante…ora si vede una porta. Prego, dopo di voi…» «Siete un uomo dalle mille risorse. Se fossi nato in questo secolo vi avrei chiesto di essere il mio maestro. Vi ringrazio davvero di cuore per essere stato il mio Virgilio personale in questa visita. Avete un modo così affascinante di spiegare che mi sembrate tanto Piero Angel.. ah giusto, non lo potete conoscere. Sarà forse un vostro discendente? Non mi meraviglierei dopo aver visto voi». 

Mappa Rocca Paolina

Chissà cosa direbbero i miei amici se sapessero che giorno memorabile è stato questo. Davvero non di solo pane vive l’uomo, ma anche di bellezza, di arte, di cose grandi e d’avventura che rendono sapido e aromatico il nostro passaggio su questa terra. E questi sono gli ultimi gradini. A breve dovremmo essere fuori a riveder le stelle… Ma che spettacolo! Da questa altezza il panorama è mozzafiato. È tutto così diverso… Fuori dalle mura antiche vedo solo qualche borgo con la piazza del mercato, poi tutta campagna divisa in agri secondo le diverse sementi, boschetti e macchie. Libere, le greggi e le mandrie pascolano. Sul Subasio e sui colli circostanti si vede ancora la neve, ma il sole del pomeriggio scintilla e si riflette in quello specchio d’acqua dolce in lontananza che dovrebbe essere il lago Trasimeno con le sue isolette. 

Un fascio di luce intermittente mi colpisce la retina. Due occhi cerulei cercano, spasmodici, me incosciente. 

«Edoardo! Edoardo! Non mi fare scherzi disgrazietomaledetto. Ti ho detto che io non curo i pazienti, ma li devo mantenere in salute. Di certo non li rianimo. Ah, eccoti. Benvenuto nel mondo degli umani! Non ti devo più venire a trovare al camposanto. Vorrei tanto sapere che cosa ti sia successo. Per cinque minuti abbondanti sei stato come semiparalizzato e ti cambiava solo l’espressione del volto, o al massimo avevi qualche contrazione involontaria. Cercavo di capire con la lucina della mia penna se le pupille reagissero o meno». 

«Oi Edo, ti abbiamo appena conosciuto e già ci volevi lasciare?» 

«Ma no ragazzi non è successo niente. Sto benissimo non vedete? Comunque con me c’era Virgilio Angela e…» 

«Era Virgilio o era Angela. E poi… Angela padre, figlio o nipote? Matti noi che ti diamo corda. Meno Superquark e meno Dante per favore. Te lo facciamo prescrivere dal medico». 

«Dai non volevo rovinare il pranzo. Mi sento davvero in forma. E… cameriere mi scusi, cosa c’è per secondo?» 

«Abbiamo braciole di maiale, arrosticini di pecora e patate arrosto». 

«Arrosticini. Che suono dolce! Facciamo a gara a chi ne mangia di più. Grazie August. Questo è uno dei pranzi di compleanno più sorprendenti dei miei ultimi 20 anni». 

«Sono contento per te amico. Un giorno mi racconterai». 

«Sì certo, quando aprirai il tuo studio privato di psicoterapia». 

«Mi fai morì Edo. Sei un giullare. Facciamoci fuori gli arrosticini e smettiamola di parlare di queste cose. Il primo me lo sbrano io». 

Questa è una storia di fantasia scaturita da un semplice interrogativo:  «Perché il pane qui a Perugia si fa senza sale?»  La tematica in questione ha portato la redazione di Koinè – Il blog degli UniversiStrani ad approfondire quello che spesso è un passato dato per scontato o, per alcuni, non dato proprio. Le fonti utilizzate sono state in particolare due: • La Rocca Paolina in Perugia. Visita e storia  Paolo Lattaioli e Marta Lattaioli. EFFE Fabrizio Fabbri Editore. • Guida breve alla Rocca Paolina Paolo Camerieri e Fabio Palombaro. Futura Edizioni. 

Immagini: Musei Italiani Wikipedia Comitato Linguistico Perugia Medioevo in Umbria


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