Nulla si sa con certezza sull’origine di questo vitigno, portato forse dai frati francescani dall’Oriente ad Assisi”: così scrive il professor Luigi Fronzi nel 1915 sul vitigno che è oggi diventato simbolo dell’Umbria nel mondo, il Sagrantino. Eppure, camminando oggi per le vie di Montefalco, il cuore del territorio del Sagrantino, si ha l’impressione che questa varietà sia nata qui e qui sia sempre stata, tanto è profondamente integrata nei luoghi: a ornare le entrate delle case, a rinverdire le piazzette assolate, a testimoniare una vocazione vitivinicola che si perde nella notte dei tempi.

C’era una volta il 1992

Varietà difficile da coltivare, esigente in termini di manodopera e dalle basse rese, la si è sempre considerata produttrice di un vino degno di occasioni importanti. La tradizione lo vede sulle tavole pasquali o di altre feste sacre, da cui forse deriva anche il nome del vitigno. Lo si produceva in purezza e quasi esclusivamente come passito, perché da asciutto – come si dice ancora oggi da queste parti – risultava troppo tannico, troppo acerbo anche quando raccolto a piena maturazione. Cosi fu, fino al 1992. Poi una geniale intuizione: la potenza di tannini, polifenoli e aromi selvatici, già precedentemente in parte sperimentata nella Doc riconosciuta nel 1979, poteva fare un salto di qualità ed essere ulteriormente affinata a dare un vino importante, elegante, potente, strutturato anche nella versione secco. L’ intuizione fu incanalata nella Docg, che venne riconosciuta appunto nel 1992, per il Sagrantino in purezza sia nella tipologia passito, sia nella tipologia secco. Sedici le aziende che firmarono il nuovo capitolo nella storia del territorio di Montefalco, 66 gli ettari dedicati al vitigno. Di strada da allora ne è stata fatta e la Docg, che ormai tutti riconoscono come ben meritata, ha sicuramente modificato il territorio e l’economia di Montefalco. Oggi le aziende che producono Sagrantino sono 75 e 726 gli ettari ad esso dedicati.

Il Sagrantino Docg Montefalco è un vino riconosciuto a livello mondiale, ambasciatore del suo territorio e di tutta l’Umbria sulle carte di ristoranti nei cinque continenti, dimostrando la fondatezza di quella geniale intuizione.

Un territorio si trasforma

“Questa Docg fu fortemente voluta dal collega Caprai”, ricorda Filippo Antonelli dell’azienda Antonelli San Marco. “Personalmente temevo questa improvvisa accensione di riflettori su un territorio che era ancora agli albori come patrimonio di vigneti e su una tipologia di vino con cui non ci eravamo ancora veramente confrontati sui mercati nazionali e soprattutto internazionali. Ma l’intuizione era certamente giusta: il Sagrantino ha dimostrato di avere le potenzialità per diventare un grande vino. Non solo, dopo il 1992 divenne anche il porta bandiera della riscoperta dei vitigni autoctoni in Italia”. La Docg portò con sé una trasformazione del territorio: tra il 1995 e il 2000 si ebbe il boom degli impianti di Sagrantino. Il benessere economico che ne derivò fece sì che le giovani generazioni rimanessero nelle aziende agricole di famiglia, trasformandole da regimi misti e specializzandole nella viticoltura. E qualche produttore molto onestamente afferma: “Se non ci fosse stato il Sagrantino, io oggi probabilmente farei un altro lavoro”. La trasformazione fu dapprima strutturale e riguardò le vigne e le cantine: dei 40 milioni erogati negli ultimi sette anni dalla Regione Umbria a tutto il sistema vitivinicolo regionale, ben 20 sono stati utilizzati per investimenti in cantina e 10 per le ristrutturazioni dei vigneti. Solo nel 2017, per fare un esempio, dei 9,2 milioni disponibili per il settore, circa 5,4 sono stati utilizzati ancora per la ristrutturazione delle cantine e la metà di essi nella zona di Montefalco. Gli investimenti, però, stanno prendendo anche una direzione diversa: non sono più esclusivamente strutturali ma vengono impiegati per azioni di commercializzazione, comunicazione, promozione del prodotto, indice di una maturità raggiunta dal vino, dal suo territorio e dai suoi autori.

Sagrantino, dimmi chi sei

Cosa è diventato il Sagrantino in questi 25 anni?

Del Sagrantino prevale oggi la versione secco. “La sensibilità e l’esperienza dei produttori ha permesso al Sagrantino di esprimere la sua vera identità: quella di un vino dalla grande struttura e personalità. La ricchezza in polifenoli, la tannicità piena, le note di bacche di bosco che, con un buon affinamento in legno, virano verso il balsamico e l’agrumato, danno a questo vino una personalità unica, inconfondibile, elegante”. Così lo descrive Filippo Antonelli, proprietario di circa 50 ettari di vigne in Montefalco. Il Sagrantino è un vino che richiede pazienza: come ogni grande rosso, ha bisogno di anni prima di raggiungere la piena maturità nel bicchiere e il percorso non è facile. Si parte da piante che hanno internodi corti e quindi una vegetazione molto fitta e richiedono impegnative opere di potatura; che sono particolarmente sensibili alla peronospora, per cui gli eventuali interventi devono essere tempestivi e mirati, soprattutto in regime biologico, come in casa Antonelli. Qui le uve vengono trattate con i guanti bianchi: la vinificazione avviene per gravità, in modo da preservare le bucce da shock meccanici; la permanenza sulle bucce varia dai 10 giorni ai 2-3 mesi, a seconda della maturità dei tannini; l’affinamento è in botti di legno grandi. Da disciplinare basterebbero 12 mesi ma in casa Antonelli si fanno anche due anni. L’affinamento in botti glia dura almeno un anno, nonostante il disciplinare richieda 4 mesi. Per alcuni cru particolarmente pregiati, come il Chiusa di Pannone, si raggiungono addirittura i due anni. Il risultato è che una bottiglia non vede la luce prima dei 4-5 anni. “Ma poi non teme nulla: il potenziale di invecchiamento di questo vino è enorme e non si è ancora potuto svelare pienamente, vista la giovane età delle bottiglie in circolazione”. Ma non è solo il potenziale di invecchiamento che deve ancora svelarsi. Secondo Antonelli il Sagrantino deve ancora mostrare ciò di cui è veramente capace. “La maggior parte delle vigne di Sagrantino della zona di Montefalco è stata piantata tra il 1995 e il 2000. Ha quindi poco più di 15 anni, che è l’età in cui una vigna raggiunge la sua maturità produttiva e inizia a dare il meglio di sé. Considerando che una bottiglia arriva sul mercato almeno 4-5 anni dopo la vendemmia, sono convinto che le bottiglie migliori debbano ancora arrivare”, afferma Antonelli.

Punti di vista

Durante la XXVIII edizione di Enologica, la manifestazione annuale dedicata ai vini di Montefalco tenutasi a settembre 2017, i produttori di Sagrantino si sono riuniti nel complesso museale di San Francesco, all’ombra dei quattrocenteschi affreschi di Benozzo Gozzoli, per festeggiare i 25 anni della Docg e fare un bilancio di questa prima tappa. Si accusa da più parti la difficoltà nell’affrontare il mercato attuale con un vino così complesso e strutturato, in tempi in cui si cercano invece vini semplici da capire e facili da bere. Ma dai dialoghi e dalle riflessioni dei produttori emergono alcuni punti fermi. Innanzitutto la consapevolezza di avere tra le mani un prodotto di inestimabile pregio, così fortemente strutturato da poter mantenere intatta la propria identità, nonostante le burrasche del mercato. Quindi, la necessità di continuare a fare sistema e rafforzare il concetto di vino di territorio per portare nel mondo il Sagrantino come ambasciatore non di una singola azienda, ma della Regione, pur nel rispetto delle molteplici interpretazioni. “Dobbiamo considerarci un’unica azienda con 75 uffici. Solo così il nostro territorio potrà affrontare vincente il mercato internazionale”, afferma un produttore. Infine, la profonda consapevolezza dell’unicità del prodotto e della sua ricca complessità, risultato dell’interazione tra vitigno, territorio, uomo, storia; la volontà di non piegarsi alle mode del mercato, ma di continuare a dare voce alla ricchezza di questo vino e di questi territori. “Prendiamo atto dei cambiamenti, ma col Sagrantino non dobbiamo seguire i gusti del mercato perché noi siamo detentori di un gusto! Un gusto che si può esprimere solo a partire da Montefalco. Ci potranno portar via una vite di Sagrantino e magari piantarla altrove, ma non si potrà mai portar via il gusto originale, risultato della cultura, della tradizione, della bellezza del territorio e della sua storia”. L’apoteosi della consapevolezza di un terroir.

Il Sagrantino domani

 I prossimi 25 anni di Sagrantino? “Tre saranno gli elementi con cui le aziende dovranno confrontarsi, ma che dovranno tutti essere affrontati in un’ottica di sistema, per poter portare ad altri 25 anni di successi”, afferma il presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco, Amilcare Pambuffetti. L’innovazione tecnologica innanzitutto, che dovrà accompagnare la tradizione verso espressioni sempre più pure; un cambiamento nelle strutture commerciali, con l’e-commerce che avanza più velocemente di quanto si creda e che ogni azienda deve iniziare a pensare di integrare nella propria strategia di marketing; la promozione, che non deve più puntare al singolo evento, ma a una comunicazione che duri nel tempo e crei un legame stabile tra il territorio e i consumatori. “Occorre un salto intellettuale, che deve essere la sintesi tra vecchie e nuove generazioni, tra tradizione e innovazione, tra Montefalco, l’Umbria e il resto del mondo”, conclude il presidente del Consorzio.

ANCHE BIOLOGICO

Tenute Antonelli San Marco è un nome legato al Sagrantino Docg sin da quel lontano 1992. Nel 2012 l’Azienda, guidata oggi dalla quarta generazione della famiglia con Filippo Antonelli, ha ottenuto la certificazione biologica, dopo tre anni di conversione. Il primo Sagrantino Docg biologico, annata 2012, è uscito quest’anno e ha già ottenuto ottimi riconoscimenti. La giuria del premio internazionale dei vini biologici, Internationaler Bioweinpreis, tenutosi a Frasdorf (Germania) a luglio 2017, che quest’anno ha visto partecipare 1.094 etichette da 25 Paesi, ha giudicato il Sagrantino Docg 2012 di Antonelli tra i migliori vini biologici al mondo. Il vino biologico dunque è più buono? “Siamo passati al biologico innanzitutto per motivazioni agronomiche. Ogni vigna ha bisogni peculiari, diversi da quelli delle altre vigne e fare viticoltura biologica obbliga a prendersi cura di ciascuna singola vigna. Se non lo fai, non raggiungi l’equilibrio necessario per tenere sotto controllo malattie, problemi vegetazionali, sofferenze di vario tipo. Abbiamo effettivamente riscontrato che con il passaggio al biologico il vigneto è più equilibrato e, di conseguenza, l’uva più sana. Questo incide sicuramente in maniera positiva sulla qualità del vino”.

Questa pagina ti è stata utile?