TESTATA: Quattro Colonne

DATA DI PUBBLICAZIONE: 27/2/2015

L’ultimo a provare a diminuire il numero di piccoli Comuni è stato il Sottosegretario Delrio con l’omonima riforma entrata in vigore lo scorso maggio. Di fronte alla necessità di dover contenere la spesa pubblica una delle soluzioni dominanti è quella di procedure ad una drastica riduzione del numero delle amministrazioni locali. L’Italia è il Paese dei mille campanili, piccole comunità di poche centinaia di persone portano avanti un’identità culturale e sociale secolare, sono quindi piuttosto restie ad accettare una fusione puramente amministrativa e dettata da esigenze di bilancio. Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo fatto un grande passo avanti: sono state realizzate ben 30 fusioni ognuna delle quali ha accorpato in media due municipi più o meno piccoli.

Ci siamo chiesti se in Italia le resistenze campanilistiche frenino la semplificazione amministrativa più che negli altri Paesi  europei. Abbiamo confrontato la nostra situazione con quella tedesca e francese, Francia e Germania hanno infatti una tradizione amministrativa simile all’Italia, e abbiamo scoperto di non essere il fanalino di coda d’Europa.

Un problema antico – Si parla della questione dell’alto numero di Comuni ancor prima che il Paese fosse unito. Mazzini non voleva che fossero più di mille. Luigi Carlo Farini nel 1860 propose l’accorpamento dei municipi con meno di mille abitanti e l’istituzione delle regioni come consorzi di province. Ma la proposta non ebbe seguito. Così Francesco Crispi nel 1887 dichiarava in Parlamento “molti borghi e villaggi hanno il nome di Comuni senza averne la vitalità. Per toglierli dall’impotenza e dall’isolamento in cui sono si concede ad essi la facoltà di unirsi in consorzio”. Poi ci provò Mussolini che ottenne qualche risultato: eliminò 2.000 Comuni e diede vita alla “grande Milano” e alla “grande Genova”. Tuttavia, dopo la Liberazione, una parte di quelle amministrazioni forzosamente accorpate dal Duce ripresero la loro medioevale fisionomia che conservano ancora oggi in Umbria: da Poggiodomo a Polino.

L’accorpamento di Comuni in Germania – Il problema del riordino delle amministrazioni comunali qui è stato affrontato sin dagli anni settanta.   In particolare, nel periodo 1968-1989, i Comuni inferiori a 500 abitanti sono passati da 10.760 a 1.735; quelli tra 500 e 1.000 da 5.706 a 1.400; quelli tra 1.000 e 2.000 da 3.850 a 1.631; quelli tra 2.000 e 5.000 da 2.406 a 1.699. Anche in Germania dell’Est, dopo la riunificazione, il numero dei Comuni ha subito una contrazione del 17 per cento: sono passati da 7.622 a 6.293. Ma resistenze campanilistiche emersero anche in terra tedesca.  Non tutti i Comuni coinvolti nell’operazione accolsero volentieri la fusione con le amministrazioni confinanti:  molti accettarono la fusione, ma solo in cambio di vantaggi finanziari; altri intrapresero vere e proprie lotte per mantenere la loro autonomia territoriale.

La Francia tra campanilismi e tentativi di efficienza amministrativa – Tutt’altra storia quella dei nostri vicini d’Oltralpe. In Francia le resistenze campanilistiche sono ancora più forti che nel Belpaese, qui troviamo la più alta percentuale di piccoli Comuni. Tanti politici hanno provato a ridurre l’enorme macchina burocratica del Paese senza riuscirci. Persino l’OCSE nel  febbraio 2013 suggerì alla Francia di ridurre drasticamente il numero di Comuni ed eliminare le province al fine di contenere la gigantesca spesa pubblica che mina la tenuta economica del Paese. Il Presidente Hollande la scorsa primavera ha annunciato una riforma dell’organizzazione territoriale ma il tentativo è rimasto un annuncio. Nel Paese del cumulo dei mandati elettivi e del mito del pubblico impiego le resistenze sono fortissime e la strada verso la semplificazione amministrativa sembra ancora molto lunga.


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