Articolo Vincitore

TESTATA: Huffington Post.com

DATA DI PUBBLICAZIONE: 16 luglio 2013

Senza dubbio, oggi, non esiste al mondo un festival jazz in grado di destare tanto entusiasmo quanto quello che si svolge nel cuore dell’Italia medioevale, Umbria Jazz. Si tratta di una vera e propria calamita per gli amanti del jazz e gli appassionati di altre varie forme di musica che promette un ricco viaggio, della durata di 10 giorni, all’insegna dell’entusiasmo.

Certamente, si può affermare che festival come quelli di Montreux, del Mare del Nord e di Marciac sono altrettanto affascinanti e ricchi di contenuti, ma è la combinazione della fantastica ambientazione di Perugia, dell’intensa attenzione del pubblico e dell'enorme carisma del suo fondatore, Carlo Pagnotta, a rendere questo festival un eterno bagliore di speranza per il futuro del jazz. Ma non è tutto: questo festival è anche un esempio di successo in termini di creazione di un marchio popolare, fusione cronologica, profonda cultura, raffinata cucina, gioiosi incontri tra le persone e infinito flusso di destinazioni locali così allettanti.

Essendo stato uno dei primi scopritori di Umbria Jazz, cui presi parte già nel lontano 1976, su grande insistenza dei miei amici italiani, è stata per me una gioia immensa essere testimone della celebrazione del suo 40° anniversario, conclusasi domenica 14 luglio.

È stata un’esperienza, durata 10 giorni, davvero impareggiabile: contrariamente ad alcuni festival, che dopo uno o due decenni iniziano a mostrare segni di affaticamento, questo è stato un chiaro esempio di come sia possibile reinventare il pubblico e coinvolgere gli attori locali. Nelle prime fasi del festival, l’obiettivo principale per la maggior parte di noi era semplicemente “esserci”, fare parte dell’evento, partecipare ai concerti gratuitamente, ma ora, dopo quattro decenni segnati da centinaia di prestazioni memorabili, ciò che conta è la qualità della musica.

La grande Arena Santa Giuliana ne è stata la dimostrazione, con scene di giubilo per Wynton Marsalis e l'orchestra Jazz at Lincoln Center (con la partecipazione di una straordinaria stella nascente, Cecile Mc Lorin Salvant), per non parlare dell’indimenticabile esibizione precedente del virtuoso pianista Stefano Bollani, con l’orchestra nazionale di Santa Cecilia. Entrambi i concerti si sono rivelati profondamente radicati nella tradizione, benché siano stati facilmente percepiti come grandi eventi rock da stadio.

Ma se da un lato, Umbria Jazz, quest’anno, ha celebrato i suoi 40 anni con un ampio spettro di artisti che hanno condiviso oltre 10 ambientazioni diverse a Perugia, dall’altro, l'evento ha anche messo in risalto il ruolo del piano, riuscendo a far ruotare tutto intorno allo strumento e questo resterà per sempre nella memoria.

L'evento speciale, certamente, è stato quello che ha riunito due colossi del jazz, che hanno lasciato le loro impronte negli ultimi 50 anni di storia. Herbie Hancock e Chick Corea duettarono per la prima volta nel 1978 e, da allora, lo hanno fatto altre tre volte soltanto. E questa è stata davvero speciale: un concerto unico per amore di Umbria Jazz e del loro amico, Pagnotta.

La loro musica, che ha segnato una partnership lunga una vita all’insegna dello spirito e della maestria, è stata ricca di riferimenti al loro mentore, Miles Davis, e a un altro grande maestro che compirà 80 anni il prossimo mese, Wayne Shorter. In un flusso continuo di grandi momenti, il dialogo si è svolto con una fluidità straordinaria. Come anticipato, è stato un vero e proprio apice di successo. Al termine del concerto, ci sono stati anche momenti di dolcezza nel back stage. Quando, ad esempio, Hancock e Corea hanno incontrato Hiromi, indubbiamente, la più straordinaria pianista jazz, scoperta da Corea, in Giappone, è stato tutto un crescendo di sorrisi.

Quando ho scattato loro la foto, in compagnia anche di un entusiasta Stefano Bollani, Hancock ha detto a Hiromi: “Ecco qua due icone storiche e due astri nascenti!”

La storia del jazz è un contiuum d’improvvisazione, come lui stesso ha sapientemente indicato. Due sere dopo, Hiromi, con un potente trio, formato da un sempre straordinario Steve Smith alle percussioni e Anthony Jackson al contrabbasso, ha regalato di nuovo un menu, in grado di stupire e ispirare; sulle orme del maestro Ahmad Jamal, con un ricco insieme di dinamismo, l’artista è piena di energia, idee e sorprese.

Per citare una nota di delusione, a dire il vero non da poco per gli spettatori del festival, indubbiamente, occorre fare riferimento a Keith Jarrett.

Oltremodo fanatico, e senza alcuna buona ragione, se l’è presa con alcune persone che stavano scattando delle foto prima dell'inizio del concerto e, a quanto pare, ha voluto vendicarsi, ordinando di spegnere tutte le luci ed eseguendo la sua performance su un palco totalmente buio. L’artista, in realtà, ha rivelato una notevole mancanza d’ispirazione, con un’esecuzione di routine. Nonostante l'illuminazione del palco, nella seconda parte dell'esibizione, il pubblico non si è detto impressionato. Né lo sono stati gli altri membri del famoso trio, evidentemente sgomenti dalla sua attitudine così negativa.

Un vero peccato che quest’artista non resterà nella memoria, come anche gli altri pianisti, quali, George Cables (che ha suonato con il settetto, chiamato Cookers), Joey Calderazzo, con il quartetto Branford Marsalis, e Michel Camilo che ha duettato con Tomatito, i quali si sono esibiti con tutto il loro repertorio dinnanzi a un gioioso pubblico all’elegante Teatro Morlacchi.

Inutile dire che, con la degna notte brasiliana che ha chiuso le celebrazioni durate 10 giorni di “Umbria Jazz 40” e ha riunito Gal Costa e Gilberto Gil, noi, patiti di questa regione e di tutte le forme di musica dedicate alla libertà, siamo stati pervasi da un senso di gratitudine. I più sentiti ringraziamenti vanno certamente, oltre che al team guidato da Annika Larsson, anche al vero e proprio “motore umano” di tutto il festival, Pagnotta, presto ottantenne, il quale è indubbiamente una delle figure più carismatiche dell’attuale cultura europea.

Che possa vivere abbastanza a lungo da vedere Umbria Jazz 50 e oltre.


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