TESTATA :  Corriere della Sera

DATA DI PUBBLICAZIONE:  7 novembre 2010

«La metamorfosi di un uomo in una rovina pietrosa»: così l' architetto Tomaso Buzzi aveva definito la Scarzuola, «città ideale» da lui creata nel cuore dell' Umbria tra il 1958 e il 1978. Il nome deriva da «scarza», la pianta palustre da cui si ricava la paglia per intrecciare le sedute delle sedie di campagna e, fino a pochi anni fa, per rivestire i fiaschi del vino. Nome antico, che risale ai tempi di san Francesco d' Assisi, il quale, nel 1218, usò la scarza per costruirsi quassù una capanna. Mezzo secolo dopo vi fu eretta una chiesa denominata la Scarzuola. Nel 1956 la chiesa con annesso convento, fu acquistata da Buzzi che, in vent' anni di lavori, ha realizzato dietro il convento la sua «autobiografia» in pietra e al tempo stesso «un sogno dell' architettura che diventa realtà», come Vittorio Sgarbi ha definito la Scarzuola citandola nel suo recente Viaggio sentimentale nell' Italia dei desideri (Bompiani).

Per arrivarci, si esce a Fabro dall' autostrada del Sole e si procede verso Montegabbione e poi verso Montegiove. Pochi chilometri e si entra in un mondo fuori dal tempo. Lungo la strada, che si inerpica e ridiscende in mezzo a un mare di colline sepolte dai boschi, non si incontrano altre automobili, né abitazioni. Passato Montegiove, che si intravede sopra un' altura, una piccola targa con l' indicazione «La Scarzuola» avverte che bisogna deviare per un sentiero sterrato. Ancora un paio di chilometri a passo d' uomo tra querce e castagni e appare un portone di ferro dal quale sbuca una corda appesa a una campana. Bisogna suonare un bel po' e alla fine arriva un uomo alto, sulla cinquantina, con grandi occhiali scuri nonostante il cielo cupo.

«Marco Solari», si presenta. È lui che nel 1981, alla morte del prozio Buzzi, ha ereditato questo eremo fantasmagorico e da allora vive recluso dentro le mura merlate che tentano di arginare la foresta. È lui che, invece di far divorare dalla vegetazione le rovine della città buzziana, come aveva lasciato scritto l' architetto nel testamento, ha portato avanti il progetto, restaurando e aggiungendo, sulla base dei disegni recuperati nell' archivio del prozio. E ora ha aperto al pubblico la Scarzuola (visite su prenotazione al numero 0763.837463). «È un' opera un po' balordina», avverte all' inizio del percorso, sventolando una manciata di fogli con i disegni di Buzzi e le copie delle pagine del Polifilo di Francesco Colonna, il misterioso autore che nel 1499 descrive, anche con incisioni, una città incontrata nel sogno e composta da piramidi e obelischi, fontane e templi in rovina, iscrizioni e simboli.

Buzzi aveva avuto il volume tra le mani da adolescente e ne era rimasto impressionato. Le prime costruzioni, a destra del convento, sono riprese proprio dalle illustrazioni del libro: accanto alla sorgente di san Francesco e all' antica peschiera usata dai frati per allevare le trote del venerdì, Buzzi ha realizzato il tunnel vegetale sognato da Polifilo, che conduce allo stagno della scarza e alla fontana con il bordo centinato dove campeggia il leone alato di Venezia sovrastato da un otto in metallo dorato, il simbolo dell' infinito. Per introdurre alla sua città ideale, disegnata con un intrico di segni circolari, Buzzi ha usato il sistema della Wunderkammer, la camera delle meraviglie, a cui si accede, per accentuare lo stupore, da un tunnel quasi buio. L' effetto è assicurato: riemergendo alla luce, davanti agli occhi si spalanca un immenso teatro all' antica che segue il declivio naturale della radura sul fianco della collina.

Racconta Alberto Giorgio Cassani, che ha scavato nell' archivio di Buzzi riportando alla luce lettere, documenti e disegni confluiti un paio di anni fa nel bel volume di Electa Il principe degli architetti, che «egli per primo parla continuamente della sua creazione come di un teatro, di una "città teatrale" e in effetti è come un gran teatro all' aperto, d' impianto classico, che la Scarzuola si presenta a chi la raggiunge dall' alto, attraverso il giardino che la sovrasta». I teatri, dentro questa città teatrale, sono addirittura sette, costruiti in un percorso a spirale che scende per poi risalire in un tripudio di scale e colonne, a simboleggiare «lo spirito che scende verso la materia e che poi, liberato dal suo peso, si libra verso il cielo come un novello Pegaso», spiega Solari nel suo accento umbro-milanese.

Si percepisce fin dall' inizio il suo sentimento di odio-amore verso questo labirinto dello spirito dove si affastellano citazioni artistiche ed esoteriche e dove lui è rimasto prigioniero, in un isolamento estremo. Come è successo? «Avevo poco più di vent' anni - ricorda - mi ero appena laureato in economia e commercio e non avevo voglia di passare il resto della vita a fare conti. C' era questa eredità che nessuno voleva, neanche lo Stato. Così ho messo un po' di soldi in un' impresetta di costruzioni e ho cominciato i restauri. Dopo un po' ho capito che c' era una sorta di genius loci che mi costringeva a restare». Risata. Ha impiegato trent' anni a ricostruire quello che Buzzi stesso aveva semidistrutto. Racconta Solari, ma chissà se è vero, che l' architetto non ha mai abitato qui. «Costruiva. E appena un edificio era finito ne ordinava la distruzione.Sempre da lontano. In quegli anni aveva avuto l' incarico di ristrutturare le ambasciate italiane in Medio Oriente e inviava da là i disegni che gli operai dovevano seguire. Aveva assunto tutto il borgo di Montegiove, una quarantina di persone. Dicevano che era matto, ma un matto buono perché dava da mangiare a tutti». «Solo le rovine rimangono - scriveva Buzzi - la Scarzuola vuol dire una piccola Pompei di un "solo uomo e uomo solo". Una carcassa, un guscio vuoto, una conchiglia fossile, uno scheletro, un grido impietrato».

Racconta Solari che l' architetto riuscì a tener segreto il suo progetto folle: «I milanesi hanno scoperto la Scarzuola soltanto dopo la sua morte». E che Gae Aulenti, allieva di Buzzi all' Università, quando qualche anno fa è andata a visitare questa utopia fatta pietra, gli ha rivelato come il professore tracciasse i suoi disegni aggrovigliati «con una matita infilata nell' ombelico». Risata. Disegni che appaiono sommersi da parole: «La città della torre delle ore vista dal labirinto della vigna, se faccio la meridiana dall' altra parte della torre», recita un foglio. D' estate, qualche volta, arrivavano Salvador Dalì e Leonor Fini, a creare scenografie surrealiste per il teatro dell' Arnia, tempestato di grandi api dorate. Oggi c' è una psicoanalista di Monaco di Baviera che porta qui regolarmente i suoi pazienti, convinta che il percorso tra tempietti, fontane, bagni di Diana, sale dell' Olimpo, grandi occhi, e orecchie e bocche spalancate scolpite nel tufo, sia terapeutico. «La simbologia della Scarzuola mi diverte un po' , perché non la prendo troppo sul serio», appuntava invece Buzzi nel 1966.

Il culmine del sogno si raggiunge nella costruzione definita Acropoli, sovrastata da riproduzioni in scala ridotta di Colosseo, Partenone, tempio di Vesta, Arco di Trionfo, Torre dei Venti e di Babele; affastellati uno sull' altro. E unito all' Acropoli c' è il tempio di Apollo che abbraccia lo scheletro di un cipresso colpito dal fulmine, la Grande Madre con i seni di cemento, il tempio di Eros ispirato alla chiesa della Salute di Venezia, la torre campanaria, la piramide di cristallo che si avvita verso il cielo con una scala a chiocciola contornata di libri. Nelle viscere delle costruzioni si nascondono cavità che simboleggiano gli organi umani, contrassegnati dai colori: indaco per la testa, verde per il cuore, rosso per il sesso maschile, azzurro per la gola. Il tufo, estremamente friabile, si sgretola sotto le gelate e la Scarzuola potrebbe svanire come un castello di sabbia. Tutto previsto. «Il tempo, cioè la mia vita - scriveva Buzzi - s' è fatto pietra, costruzione, e le costruzioni si disperderanno nel Tempo».

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