Articolo vincitore di Raccontami l'Umbria 2023 - Sezione Turismo Ambiente e Cultura

La creatività del nostro tempo è protagonista nel centro umbro, dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Collicola alle sculture in vie e piazze. Un serrato confronto con il passato da vivere, tra giugno e luglio, in occasione della 65ª edizione del Festival dei Due Mondi.


A Spoleto, la quieta bellezza del paesaggio umbro e le antiche pietre aprono le braccia, accoglienti, all’arte contemporanea. Questo rapporto, dialettico e proficuo, risale al secondo dopoguerra, quando la cittadina divenne centro artistico d’avanguardia grazie al Premio Spoleto, nato con l’intento di dare vita a una raccolta pubblica permanente. In seguito, nell’estate del 1962, la mostra “Sculture nella città” popolò le vie e le piazze di opere di grandi maestri del XX secolo, create per l’occasione. Artefice dell’evento fu il critico d’arte e collezionista Giovanni Carandente, fondatore e primo direttore

della Galleria d’Arte Moderna oggi a lui intitolata e allestita a Palazzo Collicola, bella dimora patrizia del Settecento nel centro storico. Di proprietà comunale, la collezione riunisce le opere acquisite fra il 1953 e il 1968 attraverso il Premio Spoleto, la ricca donazione effettuata da Carandente e diversi altri pezzi di grandi nomi dell’arte del Novecento, frutto di lasciti e acquisizioni.

«Carandente aveva una visione aperta al contemporaneo, importanti esperienze internazionali e rapporti diretti con gli artisti, maturati negli anni in cui fu direttore della Biennale di Venezia», racconta Marco Tonelli, il direttore artistico di Palazzo Collicola, che di Carandente è stato collaboratore. «Spoleto, che fu il suo buen retiro, grazie a lui è diventata protagonista dell’arte contemporanea».
L’attuale percorso museale, articolato in una ventina di sale, mostra le eccellenze della collezione alternando scelte tematiche e monografiche. «Un unicum in Italia è la sala dedicata ad Alexander Calder, con ben tredici pezzi», sottolinea Tonelli. Spiccano i due standing mobiles donati al museo da Carandente, sculture liberamente ispirate alle costellazioni, a elementi naturali e vegetali, straordinarie invenzioni cinetiche in perfetto equilibrio su un unico punto della base che trasmettono un giocoso senso di leggerezza. Una sala è dedicata a Beverly Pepper, la scultrice statunitense recentemente scomparsa che scelse l’Umbria come terra d’elezione.

Esponente della Land Art, progettò monumentali sculture-totem in metallo dalle forme arcaizzanti, ma creò anche opere di piccole dimensioni più dinamiche e flessuose, come i sei intrecci di nastri di metallo che donò al museo.
Straordinario è poi l’insieme di opere dello scultore spoletino Leoncillo Leonardi, considerato uno dei maggiori artisti italiani del Novecento, che utilizzò

esclusivamente la ceramica esprimendosi con ineguagliabile originalità. Leonardi attraversò varie fasi stilistiche, dal neo-Barocchetto all’Espressionismo e al neo-Cubismo, fino a maturare la scelta per l’Informale, in cui l’artista giunse a identificarsi con una materia piena di tagli,

strappi e lacerazioni che si faceva biografia emotiva: «creta carne mia», scrisse lo scultore. Palazzo Collicola testimonia il suo percorso, che culmina nella drammatica opera Affinità patetiche, una scultura doppia del 1962 che rielabora alcuni temi tipici dell’opera di Leoncillo, il San Sebastiano e l’albero, e al tempo stesso rappresenta una metafora dell’esistenza umana. «Un altro tesoro del museo è il coloratissimo Wall Drawing donato

da Sol LeWitt, fra i massimi esponenti del minimalismo americano, che per decenni soggiornò periodicamente a Spoleto», racconta Tonelli. Questa festa di colori si snoda lungo le pareti e il soffitto di un’intera sala, al piano terra del palazzo.

Le sale dedicate al Premio Spoleto riuniscono diverse opere vincitrici delle sue edizioni (1953-1964, 1966 e 1968) che grazie alla formula del “premio acquisto” andarono a costituire il primo nucleo della nascente Galleria, documentando le principali tendenze artistiche di quegli anni. Un esempio emblematico delle neoavanguardie è la Coda di cetaceo di Pino Pascali, composta da uno scheletro di legno ricoperto di tela nera. La sezione “Spoleto 1962” ripercorre la storia di “Sculture nella città”, evento che rappresentò il primo grande esperimento in Europa di integrazione fra opere d’arte moderne e tessuto urbano antico, promuovendo un’idea di scultura non commemorativa ma capace di interagire con spazi identitari attraverso i linguaggi contemporanei. In esposizione, bozzetti e disegni preparatori di alcune fra le 104 opere create per l’occasione da 53 fra i maggiori scultori dell’epoca.

Palazzo Collicola custodisce anche l’antico. Al primo piano, l’Appartamento Nobile esibisce eleganti ambienti settecenteschi e accoglie dipinti dal Cinque all’Ottocento della Pinacoteca Comunale.

«Qui allestiamo anche le nostre mostre, in una suggestiva dialettica fra ambienti d’epoca e arte contemporanea», spiega Tonelli. Nel salone d’Onore spicca la tela seicentesca L’arrivo a Spoleto di Leone III, che ha sullo sfondo un’immagine panoramica della città dell’epoca. Di rilievo sono poi la Cleopatra attribuita alla bottega del Guercino e la Spezieria di Paolo Antonio Barbieri, fratello del Guercino, specialista nella produzione di nature

morte. Sempre al piano nobile ha sede la Biblioteca Giovanni Carandente, che raccoglie oltre trentamila volumi d’arte.
L’itinerario nelle sale della Galleria prosegue tra le vie di Spoleto alla ricerca dei lasciti della mostra “Sculture nella città”: sei opere che nel corso

di sessant’anni sono diventate riferimenti importanti nel tessuto urbano, quasi tutte realizzate in metallo negli stabilimenti di Italsider, l’azienda siderurgica che sostenne la mostra. A partire dal Colloquio col demonio di Pietro Consagra, all’inizio di via Salara Vecchia, potente riflessione sul rapporto tra la scultura e lo spazio, per proseguire con Spoleto 1962, il monumentale intervento di Nino Franchina di fronte al palazzo Comunale che rappresentò una sorta di manifesto della mostra: l’opera è carica di tensione e di slancio verso l’alto, caratteristiche che l’artista siciliano vedeva nello sforzo organizzativo di Carandente.

In un angolo di piazza del Duomo è posto il bronzo Stranger III di Lynn Chadwick, scultore, pittore e designer inglese; a pochi passi si ammira il cancello-scultura che Franchina realizzò per l’abitazione di Carandente. La “caccia al tesoro” continua fuori dal centro storico. Nella rotonda all’imbocco di viale Trento e Trieste s’innalza la Colonna del Viaggiatore di Arnaldo Pomodoro: in acciaio, alta sei metri e mezzo, fu la prima opera di grandi dimensioni realizzata dallo scultore e già mostrava quella che sarebbe diventata la sua cifra espressiva. Imboccando il viale si arriva al piazzale della stazione, dominato dal Teodelapio di Alexander Calder, opera monumentale in acciaio verniciato di nero. Alta quasi diciotto metri, venne realizzata nell’officina Italsider di Savona usando spesse lastre di acciaio, che vennero poi montate sul posto dagli operai della fabbrica e saldate sotto la

supervisione di Calder. Un felice debutto legato alla mostra è anche Il dono di Icaro di Beverly Pepper, l’opera in ferro e acciaio con cui per la prima volta l’artista si cimentò con la scultura in metallo e la saldatura. Con il suo anelito verso la libertà dell’uomo, spunta fra il verde e il grigio dell’asfalto all’ingresso sud di Spoleto, nei pressi dell’incrocio fra la Flaminia e viale Matteotti.


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