Quando nel 271 a.C. il console Curio Dentato prese la sua decisione, la situazione doveva essere insostenibile. La piana di Rieti, attraversata dal fiume Velino, era infatti un’immensa palude senza sbocco (detta non a caso Lacus Velinus). A sbarrarne il regolare deflusso si ergeva infatti, nel tratto meridionale sinistro della Valnerina, una scarpata di calcare massiccio, oltre la quale le acque tracimavano appena: per gettarsi poi nel sottostante fiume Nera che scorreva impetuoso verso la vicina Interamna Nahrs, l’antica Terni romana. La bonifica della piana, essenziale per lo sviluppo agricolo dell’area, era imprescindibile. Fu così che, studiando la rupe da uno dei tanti belvedere, il console individuò il punto esatto dove far rompere la roccia, laddove il Nera si approssimava più alla montagna, e fece aprire un canale di deflusso, la Cava Curiana: consentendo così al Velino di scivolare giù libero oltre la scarpata. Nasceva così, 2300 anni fa, la Cascata delle Marmore, con i suoi 165 metri il salto artificiale più alto d’Europa, tre balzi spettacolari (80 metri il primo), 15m cubi di acqua al secondo, secondo sito più visitato in Umbria dopo la città di Assisi, soluzione umana a un problema naturale e, al tempo stesso, meraviglia della natura.


Addomesticata sì per problemi tecnici ma oggi incredibile habitat di biodiversità, tanto da aver dato vita nel 2001 ad un Parco naturale di 15 ettari (inserito nel Parco fluviale del Nera). Dove boschi di lecci e carpini prosperano a quote basse grazie all’effetto rinfrescante dell’acqua nebulizzata, insieme a rari gerani odorosi tipici delle zone alpine. E dove ovunque, tra radure, cascatelle e grotte, la pietra sponga, racconta, in infiniti scivoli e concrezioni, la storia geologica del luogo. Determinata da una comunità di muschi smeraldini vegetanti sott’acqua, i cratoneurion: che sottraendo con la fotosintesi anidride carbonica all’acqua, velocizzano la deposizione del calcare dando vita, in successive stratificazioni, al travertino spugnoso, vera roccia madre della cascata. Ibi marmor et saxum crescit, là il marmo e la pietra crescono, scriveva infatti Plinio nella sua Naturalis Historia: disvelando così anche l’origine del toponimo Marmore.


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“Nei secoli la cascata ha subito infiniti interventi”, spiega Sebastiano Torlini, archeologo e guida turistica del Parco. “Con il decadere di Roma vennero però meno i lavori di manutenzione e si riformarono le antiche paludi. Fu solo con l’intervento dei Papi che ripresero le canalizzazioni: un regolare deflusso delle acque significava scongiurare piene del Nera, principale affluente del Tevere, e disastrose inondazioni nella Capitale. A metà ‘800, con la rivoluzione industriale, l’acqua iniziò ad essere utilizzata per produrre energia elettrica. Fino al 1930 quando, con la costruzione della centrale di Galleto, le acque del Velino provenienti dal lago di Piediluco furono convogliate tutte nelle condotte forzate, esaurendo di fatto la cascata”. Per rivederle, le Marmore, occorrerà aspettare il dopoguerra: quando, grazie ad accordi annuali tra il comune di Terni e l’ente gestore della centrale, la cascata ricomincerà a fluire nel segno di una vita a intermittenza, scandita da risvegli annunciati di volta in volta dal suono di una sirena d’antan.


Ma si fa presto a dire cascata: perché questa leonessa domata, dal ruggito incantato e incantatore, è un animale fantastico dai mille volti che vale la pena scoprire con lentezza, meglio se con l’ausilio di una guida. Varcato uno dei due ingressi del Parco (si può accedere dal Belvedere inferiore, lungo il corso del Nera o da quello Superiore, a monte della cascata, nel borgo di Marmore) sono ben 6 gli itinerari lungo cui perdersi e sostare. Partendo dall’inferiore il numero 1 tira su dritto, tra gradoni e sterrati attraverso il bosco, fino ad aprirsi sulla Loggetta settecentesca della Specola di Pio VI. E qui il primo salto abbaglia in tutta la sua fragorosa potenza (una cosa da far spiritare ogni incontentabile cervello, scriverà il pittore Salvator Rosa). Incoronato, quasi sempre, da un arcobaleno a tutto sesto, per una volta veramente a portata di mano e di sguardo. E qui, da questo punto privilegiato, dove lo sguardo spazia sul verde fitto della Valnerina, giù giù fino al monte Coscerno, è facile capire perché da fine ‘700 legioni di vedutisti en plein air, da Corot a Turner, si siano invaghiti della cascata. Ma anche come questa sia diventata tappa obbligata degli viaggiatori del Grand Tour, abbinandola a mete come il Vesuvio e Pompei.

Impossibile però bagnarsi. Per farlo basta sostare più in basso, a metà strada, sul Belvedere degli Innamorati: negli orari giusti la doccia è assicurata. Per trovarsi a tu per tu con rivoli e cascatelle basta invece seguire i percorsi 2 e 3. Il 2, lambendo il secondo salto, grazie a ponti e scalette attraversa il Canale Pio, all’interno del quale il Velino, verde, placido e trasparente scorre tra la fitta generazione. Vale la pena percorrerlo la mattina, quando la cascata è ancora assopita: per ascoltare lo scroscio dell’acqua e i sussurri del bosco. Il 3 segue invece la forra ombrosa del Nera, in uno dei pochi tratti il cui il fiume (il più veloce d’Italia), privo di sbarramenti, gorgoglia libero e tumultuoso, incidendo le sponde con il suo scorrere, tra i voli radenti dei merli acquaioli. E qui, vicinissimo, il Velino finalmente lo raggiunge, fondendosi acqua con acqua all’altezza dell’ultimo regale salto a ventaglio. Assecondando così la leggenda dell’amore impossibile tra il pastore Velino e la ninfa Nera, trasformati entrambi in corsi d’acqua per poter non essere mai più divisi.


Da non perdere poi il sentiero 4, abbarbicato sul lato opposto della valle, lungo il monte di Pennarossa. Anche questa volta il paesaggio è da mozzare il fiato: pochi passi in salita e la cascata appare nella sua interezza, tra spume e vapori laceranti il verde. “Impareggiabile cateratta, orribilmente bella!”, ebbe a scrivere Lord Byron, sommo poeta inglese che dal luogo fu così stregato da dedicargli un’Ode apposita. E tutto fa pensare che l’ispirazione gli venne proprio qui. Fascinosa e tecnica, potente e doma al tempo stesso, quella della Cascata è insomma una vera e propria Opera, simile a quella dei cantieri delle grandi cattedrali. Opera sulla quale si susseguono ancora i progetti, nel pieno rispetto dell’equilibrio raggiunto tra natura e obiettivi produttivi. E’ di questi mesi infatti uno studio di ascensore-funicolare che unisca i due Belvedere (oggi raggiungibili a piedi attraverso il parco o in auto o navetta) sfruttando il tracciato delle condotte della ex Centrale idroelettrica di Terni, insieme al ripristino del collegamento fluvio-lacustre Marmore - Lago di Piediluco, utilizzando un antico canale già esistente e operativo fino agli anni ’50. Nell’attesa dei pareri di fattibilità, la leonessa continua a ruggire. Non un acquafan, non un parco per sport estremi, ma un luogo di svago e ammirazione per la natura ammaestrata. Lo scriveva già Byron: “Volgiti ancora e guarda!”.


Sebbene pesantemente bombardata durante l’ultimo conflitto, Terni conserva preziosi gioielli di architettura medievale. La Chiesa del Santissimo Salvatore (largo S. Salvatore, 0744/420467-338/3302952; orari 9-12/16-19), vicino a Palazzo Spada, sede del comune, risale a prima dell’anno 1000 ed è la più antica della città. Strutturata in due corpi di epoca diversa, presenta una rotonda cilindrica coperta a cupola, con tanto di apertura a oculo sulla sommità, del tutto simile a quella del Pantheon, che ne testimonia le origini romane. Sull’adiacente corpo longitudinale si apre invece la trecentesca Cappella Manassei, il cui ciclo di decorazioni fu voluto da una dama della potente famiglia ternana per propiziare il ritorno del marito prigioniero. Accanto alle figure di Santa Caterina di Alessandria e Maria Maddalena, molto bella l’immagine del San Giovanni Battista, opera del Maestro della Cappella Manassei. Non molto distante sorge la Chiesa di San Pietro (via Carrara, 0744/406153; orari 8-12/16 -19), sito agostiniano dalla bella facciata a capanna sovrastata da un rosone gotico. Più volte rimaneggiata, presenta all’interno l’affresco della Dormitio della Vergine, risalente alla metà del Trecento, splendido esempio di pittura gotica.


A 13 km di distanza da Terni merita una visita il Parco archeologico di Carsulae (strada di Carsoli 8, Terni - 0744/1804413 - 348/7561801; orari mart - dom 8.30 17.30 - biglietto intero 5 E, ridotto 4 E, biglietto combinato con la Cascata delle Marmore acquistabile solo on line 15 E) antica città romana immersa nell’incredibile scenario naturale dei Monti Martani. Definita la Pompei dell’Umbria, presenta le basole di un antico tratto della via Flaminia, che abbandonato in favore di uno più commerciale portò nel IV sec d.C. la città ad inesorabile abbandono. Una nuova app con guida multimediale interattiva permette, durante la visita, di scoprire con ricostruzioni virtuali e immersive l’aspetto originario del sito.


A pochi minuti da Marmore sorge la cittadina Piediluco, adagiata sull’omonimo lago, di cui il fiume Velino è immissario ed emissario. Riparato dai rilievi, è un borgo silenzioso che merita una visita, specie sul lungolago. Da non perdere il giro in battello, per ammirare il panorama circostante: e udire l’eco che si diffonde tra i monti Luco e Caperno. Risalendo la Valnerina, sbuca dal verde Vallo di Nera, l’antica Castrum Valli, sorta nel 1217 sulle curve di un colle a guardia del fiume. Borgo più Bello d’Italia, Vallo conserva intatto il suo impianto urbano circolare, con strade anulari pianeggianti e ripide salite. Per conoscerne la storia vale una visita la Casa dei Racconti, luogo della memoria con foto e aneddoti sulla valle. Da non perdere la Chiesa Santa Maria Assunta (via Santa Maria 7 - 0743/616143) riaperta a ottobre 2020 e ricca di affreschi di metà ‘300. Proseguendo in direzione di Sellano ci si imbatte in Postignano, altro borgo più Bello d’Italia, immortalato già nel ’79 dal fotografo Norman Carver Jr, che gli dedicò la copertina del suo libro Italian Hilltowns. A pianta triangolare, edificato sul declivio di una collina, con le sue case-torri lanciate verso il cielo, Postignano è uno straordinario esempio di borgo di sommità. Recuperato nel 2013 dopo un lungo abbandono grazie ad un massiccio intervento di restauro conservativo.


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