Arroccata su una rupe isolata dal mondo, Orvieto sembra uscita da un libro di fiabe. E ogni luogo è ammantato di storia.

Sospesa quasi per magia tra terra e cielo, arroccata nella sua bellezza eterea su un’alta rupe isolata dal mondo, Orvieto è un raro fiore in una terra che più verde non si può.

Quel sasso che si erge verso le nubi al cielo, cantato da un poeta orvietano del Duecento, è il cuore dell’Umbria dove tutto riporta ad antiche leggende, a paesaggi infiniti.

Una scenografia ad alto impatto quella che si presenta al primo sguardo: un masso tufaceo delimitato da altissime pareti a strapiombo che racchiude, sulla sua sommità, un borgo medioevale di rara fattura. Su cui domina, maestoso ed imponente, il Duomo, un gioiello dello stile romanico-gotico, anche detto il Giglio d’Oro delle cattedrali per lo slancio delle guglie, l'oro dello sfondo dei mosaici, il rosone e i portali bronzei. Già la facciata esterna realizzata da Lorenzo Maitani è un inno alle geometrie e alle proporzioni mentre all’interno lo spazio diventa solenne, elevato, scandito dagli alti pilastri che si susseguono creando un insolito gioco prospettico. E dove non mancano gioielli preziosi come la Cappella di San Brizio, sulle cui pareti Luca Signorelli affrescò un Giudizio Universale che è una delle più eccelse testimonianze della pittura italiana.

Sembra una fiaba quella che emerse a fine degli anni ’70 a poche centinaia di metri dal Duomo. Una frana che incuriosì un gruppo di speleologi locali già attratti da una sorta di leggenda metropolitana chemitizzava una Orvieto «tutta vuota, sotto». In effetti la stessa Rupe mostrava, in alcune delle sua strapiombanti pareti, misteriose aperture, finestrature dai profili irregolari, occhiaie vuote e buie che sottintendevano sotterranei inesplorati. E fu emozione pura quando si trovarono al cospetto di grotte rupestri al cui interno si susseguiva su più piani sovrapposti una moltitudine di stanze collegate tra loro da gallerie e illuminate da piccole finestre.

Il passato, quello della civiltà etrusca che si insediò per lungo tempo nelle grotte tufacee, tornò prepotentemente nel presente. Più di 1200 grotte tra cui cantine per la fermentazione del vino, magazzini per la conservazione degli alimenti, cisterne per l’acqua ed addirittura dei frantoi per l'olio. Su tutti, la più preziosa testimonianza etrusca è data, senza dubbio, dal Pozzo della Cava, interamente scavato nel tufo, che permetteva di resistere agli assedi in quanto sull'alto pianoro della Rupe orvietana l'acqua è, da sempre, totalmente assente.

Quello che la natura ha negato per la difesa, l’ingegno dell’uomo ha risolto: così si legge in una targa apposta all’entrata del pozzo di San Patrizio, un capolavoro di ingegneria rinascimentale fatto edificare da Papa Clemente VII, rifugiatosi a Orvieto per sfuggire al Sacco di Roma. Profondo 62 metri e largo 13, è composto da due scale a chiocciola sovrapposte e indipendenti, illuminate da 72 finestroni, che scendono a spirale fino al fondo del pozzo, formando una sorta di gigantesco filamento di Dna rinascimentale.

Un dedalo di strade, stradine e viuzze lastricate, su cui si affacciano, come parte esse stesse dell’arredo urbano, piccole botteghe di alto artigianato, sono il parterre che si snoda da Piazza del Duomo. Sono molte, infatti, le attività che generazioni di orvietani affidano e conservano. Come quella delle preziose merlettaie che si tramandano una tradizione antichissima, l’Ars Wetana appunto, che riprende minuziosamente disegni di foglie di edera, di acanto e di vite, figure ed animali tratti dai bassorilievi trecenteschi del Duomo.

Ma anche quella della ceramica, le cui origini qui affondano nella civiltà etrusca, e, grazie a Pericle Perali, promotore dell’arte dei Vascellari, vive più forte che mai nelle botteghe orvietane. Più in là è il quartiere medioevale con le sue case arroccate a ridosso degli speroni di tufo sembrano ricreare la magia del luogo. Edifici trecenteschi si affacciano su pittoreschi vicoli mentre la silhouette della Chiesa di San Giovenale si staglia austera nel cielo.

Si dorme a Palazzo Piccolomini (www.palazzopiccolomini.it, da euro 130 a notte, colazione inclusa), appartenuto alla famiglia papale dei Piccolomini, ed oggetto recentemente di un ampio restauro). Info: www.palazzopiccolomini.it.


Questa pagina ti è stata utile?