L’acqua è la linfa vitale di questa regione non lambita dal mare. L’acqua del Tevere che marcava il confine con l’Etruria, quella del Velino che si tuffa nella gola del Nera con un dislivello di 165 metri ripiegandosi in balze di fragorosa spuma candida formando la cascata delle Marmore, visitata e celebrata dai viaggiatori del Grand Tour che salivano a dorso di mulo lungo i declivi.

Il mito narra della ninfa Nera innamorata del pastore Velino, che la gelosa Giunone trasformò in fiume nel quale si gettò il giovane disperato. Nella storia la cascata nacque dall’esigenza di bonificare la piana reatina facendo defluire le acque stagnanti del Velino nel Nera, con un intervento di Antonio da Sangallo il giovane fino a quello definitivo commissionato nel 1787 da Pio VI ad Andrea Vici, con realizzazione anche della Specola, il loggiato con affaccio sul primo salto. Nel punto in cui il Velino, defluendo dal lago di Piediluco in località Marmore, si inabissa nel Nera formando tre salti si ha l’emozionante visione della massa spumosa che fende la vegetazione. Funziona alla massima portata in orari e periodi stabiliti, essendo il volume d'acqua deviato in condotte forzate a scopo idroelettrico.

Nell’area escursionistica circostante 5 sentieri di varia difficoltà partono dal Belvedere inferiore, di cui uno adatto anche ai bambini con scalette e ponti di legno. Al Belvedere superiore si può giungere in automobile costeggiando i complessi industriali o con un servizio gratuito di bus navetta.

L’acqua ha scavato nelle rocce di travertino cavità e gallerie ricche di stalattiti e stalagmiti, che possono essere perlustrate con le guide speleologiche professioniste.

L’area di notevole pregio ambientale e di scenografico impatto naturalistico del Parco fluviale del Nera in bassa Valnerina, detto anche Parco delle acque, delimitata da Nera, Velino, lago di Piediluco e cascata delle Marmore, ha amplificato e valorizzato la vocazione paesaggistica anche grazie all’industrializzazione con le centrali idroelettriche di Cervara e Galleto e le acciaierie di Terni che hanno contribuito a determinare l’economia della regione per molti decenni. La strada regionale 209, che risale il percorso del fiume Nera incassato nel fondovalle, costituisce infatti il cardine della vita economica della Valnerina ternana, insieme alla tranvia Terni-Ferentillo che ha connotato il panorama urbano e consentito il trasporto passeggeri negli opifici della zona industriale fino al 1960.

D’altronde, acqua e sviluppo si sono intrecciate fin dal III secolo a.C. quando i romani lungo le vie fluviali del Tevere e del Nera e lungo l’asse della consolare Flaminia, fondarono centri e municipi come Carsulae e Terni, ville rustiche, acquedotti e cisterne, ponti e porti fluviali e opere idrauliche come il Pozzo di San Patrizio a Orvieto e la cisterna di Amelia.

In tanta opulenza naturalistica si è sviluppata una spiccata vocazione sportiva di attività outdoor: canoa, rafting, kayak, torrentismo, deltaplano, parapendio, arrampicata, vacanze natura.

Crocevia e cerniera fra Nord e Sud, il territorio umbro venne costellato da un imponente sistema difensivo di torri e rocche intorno alle quali si svilupparono borghi che hanno assunto un’identità nel periodo feudale e comunale, le cui tradizioni ancora oggi rivivono nelle rievocazioni storiche di alcuni tra i più belli d’Italia, contornati da gialli campi di girasoli.

Non soggetta alle incursioni costiere, la regione ha offerto un contesto favorevole al misticismo monastico benedettino e francescano e al ritiro eremitico, coniugando atmosfere medievali e suggestione paesaggistica. Gli anfratti montani hanno fornito rifugio e ispirazione dal V secolo a una moltitudine di monaci siriaci che potevano godere della presenza diffusa di sorgenti. Eremi, abbazie e santuari sono testimoni della nascita e dello sviluppo della spiritualità in questa terra, con le vie Flaminia e Amerina veicoli di diffusione del cristianesimo e di penetrazione del monachesimo benedettino e francescano. I monaci benedettini adattarono l’ecosistema alla presenza umana imparando a sfruttare le risorse naturali, a controllare i flussi commerciali, a promuovere agricoltura, allevamento e artigianato. Fortificazioni e castelli assicurarono la difesa alle abbazie e duchi e imperatori garantirono la protezione dei luoghi sacri che divennero rifugi nei tempi difficili successivi.

Nel territorio di Ferentillo, unico esempio di arte longobarda e dell’attività eremitica e benedettina nella valle, l’Abbazia di San Pietro in Valle aggrappata alla costa del fiume Nera integra un’aura medievale all’incanto del paesaggio.

La leggenda narra degli eremiti siriaci Lazzaro e Giovanni che dal 535 accoglievano chiunque volesse dedicarsi alla vita monastica. Nell’VIII secolo il duca di Spoleto Faroaldo II fonda l’Abbazia destinandola a mausoleo dei duchi longobardi, dove prende l’abito monastico e viene sepolto. Con Carlo Magno il territorio è donato al Papa, presupposto del futuro Regno Pontificio in un’area cosparsa di castelli che controllavano i transiti tra la Sabina e le Marche, poi passa ai cistercensi. Nel 1917 l’ultimo discendente degli Ancajani cede la chiesa al parroco e vende il convento che viene trasformato in residenza d’epoca, con le camere ubicate nelle celle contrassegnate dai nomi dei vecchi frati, dove il sonno è vera beatitudine. Nel refettorio e d’estate nel chiostro, è servita la colazione con i prodotti delle antiche ricette.

La chiesa romanica con facciata a capanna e torre campanaria longobarda, è monumento nazionale; all’interno altare longobardo e affreschi medievali e di scuola romana e umbra.


Nelle antiche cantine, il ristorante Hora Media già nel nome rimanda all’origine benedettina, e propone le sopravvivenze della cucina storica umbra rivisitata secondo i gusti contemporanei, con prodotti di stagione, come la medievale herbolata (fagottino di pasta brisée con ripieno di erbe di campo, pecorino e pancetta), la polenta di roveja (pisello selvatico della Valnerina), i maltagliati di fava cottora o farro con friggitelli e fonduta di caciotta allo zafferano di Cascia, i tortelloni con ripieno di coniglio e guanciale con vellutata di ortica al finocchio selvatico, il baccalà arrosto su passatina di cicerchie da agricoltura biologica aromatizzato al serpillo. Apertura da Pasqua a inizio novembre.

In questo lembo di terra vocata al sacro, in alcuni luoghi di grande valenza storica, culturale e civile fiorirono nei secoli figure che diventeranno capisaldi della cristianità. A Norcia Benedetto patrono d’Europa e fratello gemello di Santa Scolastica fondatrice del ramo femminile dell’ordine, ad Assisi Francesco giullare di Dio patrono d’Italia, a Todi Jacopone celebre autore di laudi religiose, a Terni San Valentino patrono degli innamorati, a Cascia Rita la Santa degli impossibili.


Risalendo la valle del fiume Corno in direzione nord-est ecco Cascia, antico castello di pendio sul fianco del colle Sant’Agostino. Sotto la rocca medievale un viale porticato abbraccia i devoti convogliandoli verso la basilica che custodisce il corpo della santa, la cui bianca facciata si staglia contro l’azzurro del cielo e il verde della chiostra montuosa. Dieci bassorilievi incorniciano il portale oltre il quale un tripudio di colori rallegra gli occhi e lo spirito facendo baluginare uno scorcio di paradiso nel grande ambiente a croce greca con la cupola centrale dipinta da Montanarini e sculture in bronzo di Manzù nel presbiterio. Sulla sinistra, davanti al corpo della Santa posto in un’urna di cristallo all’interno di un tempietto di rame, si innalzano le preghiere dei fedeli.

L’adiacente monastero agostiniano dove visse per quarant’anni ne conserva alcune reliquie tra cui la cassa solenne che per tre secoli contenne il corpo incorrotto e la fede nuziale. Nel cortile una maestosa vite germogliata da un legno secco produce ancora succulenti grappoli.

Un sentiero medievale conduce al borgo natio di Roccaporena dove si trovano la casa natale, la casa maritale convertita in cappella, l’antico lazzaretto per i malati di peste, con affreschi cinquecenteschi. Tra le rocce l’orto del miracolo dove in pieno inverno fiorì un roseto. Il santuario è preceduto da un portico con la statua della santa vestita da popolana.

Il percorso devozionale sullo scoglio sacro conduce a una cappellina che racchiude lo sperone di roccia su cui Rita pregava lasciando le impronte di ginocchia e gomiti, da dove la vista si espande sulla vegetazione rigogliosa della vallata.

Ampia la varietà di prodotti tipici quali il miele millefiori secondo l’antica tradizione di apicoltura di monasteri, conventi e castelli, lo zafferano, il farro, i legumi, il tartufo nero. Il presidio slow food roveja è ingrediente di minestre e zuppe e la farina macinata a pietra dal lieve retrogusto amarognolo è usata per la farecchiata (polenta) condita con un battuto di acciughe, aglio e olio extravergine di oliva.

Piatti tipici sono i crostini alla ghiotta con prosciutto e fegatini, la torta al testo, gli strascicati di Cascia (ritagli di pasta all'uovo conditi con tartufo o con sugo di salsiccia, uova e pancetta), l’agnello al tartufo nero, la pizza al formaggio e svariati prodotti suini tra i quali la collarina (salame umbro), il barbozzo (guanciale), la lonza, la coppa, la ventresca, le salsicce.

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